In Ecuador è stato di emergenza dopo l’evasione del super boss del narcotraffico Adolfo Macìa, detto “Fito”, a capo del più grande cartello della droga del Paese, Los Choneros. La decisione del neo presidente Daniel Noboa è arrivata dopo le rivolte registrate in almeno sei carceri. Il decreto conferisce per i prossimi 60 giorni poteri speciali all’esercito e alla polizia per ristabilire l’ordine nelle strade e nelle prigioni e impone il coprifuoco notturno tra le 23 e le 5. Da ieri è caccia all’uomo con migliaia di poliziotti e soldati che battono ogni angolo del Paese.
“Non negozieremo con i terroristi e non ci fermeremo finché non avremo riportato la calma nel Paese”, ha detto in un video diffuso sui social Noboa, eletto lo scorso ottobre dopo aver promesso in campagna elettorale di riportare la sicurezza nel Paese. “È finito il tempo in cui le persone condannate per narcotraffico, omicidio e criminalità organizzata dettavano legge al governo in carica. Abbiamo iniziato ad agire per recuperare il controllo sulle carceri”.
Irruzione dei narcos durante la diretta nel tg
Da ieri il Paese è piombato nel caos, con attacchi simultanei dei gruppi armati in centri commerciali, attentati esplosivi, auto date alle fiamme, saccheggi e il sequestro di decine tra secondini e agenti di polizia nei penitenziari. Il bilancio finora è di almeno 10 morti. Secondo la polizia sono almeno sette le province coinvolte: Esmeraldas, Pichincha, Azuay, El Oro, Los Ríos, Loja, Chimborazo e Guayas. Nella capitale Quito è stata ordinata l’evacuazione immediata del Parlamento e di tutti gli uffici pubblici.
L’azione più eclatante di una giornata di terrore è stato l’assalto negli studi tv del canale pubblico TC Television di Guayaquil. Incappucciato e armato di kalashnikov, un commando ha fatto irruzione durante la diretta del notiziario. Di fronte alle telecamere uno degli aggressori ha lanciato la sfida: “Perché vi ricordiate che non si gioca con le mafie”. I giornalisti, sotto la minaccia delle armi, hanno implorato “niente polizia”. La crisi in diretta nazionale si è risolta con l’intervento delle reste di cuoio e l’arresto degli assalitori.
A mettere in imbarazzo le autorità ecuadoriane è l’evasione di un altro boss del narcotraffico, il capo dei Los Lobos, Fabricio Colón Pico, riuscito a fuggire, insieme a una trentina di reclusi, dal carcere di Riobamba, nella provincia di Chimborazo, dove era stato rinchiuso appena tre giorni fa.
Adolfo Macìas “Fito”, il boss dei narcos
Macìas, 44 anni, dal 2011 stava scontando una condanna a 34 anni di prigione per traffico di droga, criminalità organizzata e omicidio. Lo scorso agosto era stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Guayaquil, nel sud ovest dell’Ecuador, dopo l’attentato di Fernando Villavicencio, uno dei candidati alle elezioni presidenziali. Il giornalista e attivista politico è stato freddato a colpi di arma da fuoco al termine di un comizio in una scuola di Quito. Il 58enne si era speso in prima linea contro i cartelli della droga e per questo aveva ricevuto minacce di morte proprio da “Fito”.
Non è la prima volta che il boss dei narcos evade da una prigione di massima sicurezza. Già nel 2013 aveva fatto perdere le proprie tracce per poi essere catturato dopo tre mesi di latitanza. Difficile che il narcotrafficante possa essersi dileguato dal super carcere, noto non a caso come “la roca” (la roccia), senza la complicità delle guardie penitenziarie. La Procura ha già avviato un’indagine su due agenti che si sospetta siano “coinvolti nell’evasione di Macías”.
Secondo le stime, Los Choneros, originario della provincia costiera di Manabí, può contare su circa ottomila effettivi e ha legami solidi con il cartello messicano di Sinaloa.
Un Paese preda del narcotraffico
Il narcotraffico non è certo una novità in Ecuador ma negli ultimi anni ha registrato numeri record e con esso ha toccato vette inaudite il livello di criminalità. Risparmiato fino a pochi anni fa dalla criminalità dei narcos, il Paese è diventato uno dei più pericolosi dell’America Latina. Stretto tra la Colombia e il Perù, i due maggiori produttori di cocaina al mondo, lo Stato di 18 milioni di abitanti è stato travolto da un’ondata senza precedenti di violenza legata alle organizzazioni criminali e al traffico di droga.
Il Paese si è trasformato in un hub logistico fondamentale per il commercio della cocaina prodotta in Colombia, Bolivia e Perù verso gli Stati Uniti e l’Europa. Non solo. È diventata una base da dove operano i cartelli della droga di Messico e Colombia. Dietro la penetrazione dei narcos c’è il controllo del porto ecuadoriano di Guayaquil, alternativa alla rotta terrestre, ormai troppo battuta. Istituzioni e forze di sicurezza deboli hanno spianato loro la strada.
Banane e cocaina
Spesso la cocaina viene fatta arrivare in Europa e negli Stati Uniti all’interno dei container di banane, di cui l’Ecuador è il primo esportatore al mondo. L’ultimo sequestro risale ad appena due giorni fa: la dogana di Rotterdam, in Olanda, ha sequestrato 600 chilogrammi di stupefacente per un valore di 45 milioni di euro. Lo scorso maggio era toccato al porto di Gioia Tauro, in Calabria, dove la Guardia di finanza ha trovato quasi 3 chilogrammi di polvere bianca nascosta tra la frutta.
I cartelli della droga prosperano anche grazie a un sistema penitenziario colabrodo e sovraffollato. Gran parte delle violenze sono dirette dalle carceri, che in sostanza sono sotto il controllo dei gruppi criminali. Da dietro le sbarre, i capi delle gang orchestrato i traffici di stupefacente che dall’America latina attraverso i porti dell’Ecuador inondano le piazze di mezzo mondo. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale delle dogane, nel 2022 circa un terzo della cocaina sequestrata in Europa proveniva dall’Ecuador, il doppio rispetto al 2018.
L’impennata della violenza
In parallelo le morti violente hanno subìto un’impennata nel Paese che fino a pochi anni fa registrava il numero di omicidi più basso del Continente. Secondo Verisk Maplecroft, nel 2022 il tasso è aumentato del 500% rispetto al 2016 raggiungendo quota 22 ogni 100mila abitanti. Una tendenza che la società di analisi strategica attribuisce a una “crescita senza precedenti della criminalità violenta”, alle “organizzazioni del traffico di droga transnazionale” e alla “violenza delle gang nelle strade”.
Alla guerra tra forze di polizia e cartelli della droga si somma quella, altrettanto sanguinosa, tra bande rivali che si contendono il controllo del territorio, in testa “Los Choneros” e “Los Lobos”. Senza contare il terrore sulla popolazione, vittima di estorsioni e sequestri. In aumento anche il reclutamento forzato di nuove leve tra i giovanissimi anche minori.