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MONDO

Doomsday Clock: quanto siamo vicini alla fine del mondo?

Il Doomsday Clock è un orologio che ogni anno segnala metaforicamente quanto la civiltà umana sia vicina all’estinzione.
L’orologio è simbolo e icona del Bollettino degli scienziati Atomici, una rivista fondata 75 anni fa da Albert Einstein e da alcuni scienziati dell’Università di Chicago del Progetto Manhattan.

Quando l’orologio del giorno del giudizio fu creato, nel 1947, il più grande pericolo per l’umanità proveniva dalle armi nucleari. In particolare dalla prospettiva che gli USA e l’Unione Sovietica fossero diretti verso una corsa agli armamenti nucleari. Se prima i timori riguardavano solo armi e tecnologie, dal 2007 il Bollettino ha preso in considerazione anche possibili interruzioni catastrofiche dovute al cambiamento climatico.

La storia dell’umanità in un orologio

Oggi il Doomsday Clock sarà presentato per la 75a volta e scopriremo in che modo il gruppo di scienziati ed esperti di sicurezza del Bollettino muoverà la lancetta dei minuti. Negli ultimi due anni è stato bloccato a 100 secondi alla mezzanotte. Con la Russia pronta ad invadere l’Ucraina, è difficile immaginare che la lancetta sia spostata indietro.

 

Il momento più “pericoloso” fu di due minuti alla mezzanotte, nel 1953: al culmine della guerra fredda dopo la prima detonazione di una testata termonucleare.

Al momento della crisi dei missili cubani, le lancette erano a sette minuti. Tuttavia il Bollettino decise di non portarle avanti perché lo shock della quasi catastrofe aveva dato a Washington e Mosca un nuovo incentivo a lavorare per la riduzione del rischio e controllo delle armi.

La distanza più lontana dalla mezzanotte che l’orologio ha segnalato è stata di 17 minuti, proprio alla fine della guerra fredda, nel 1991. Da allora ci siamo sempre più avvicinati all’estinzione. Ciò è in parte dovuto alla crescente volatilità della geopolitica, alla proliferazione di armi nucleari e alla nuova minaccia del cambiamento climatico.

Come è nato il Doomsday Clock

L’immagine dell’orologio del giorno del giudizio era originariamente opera di Martyl Langsdorf, una nota artista dell’epoca, il cui marito, Alexander, era un fisico del Progetto Manhattan. Quando nel 1947 lui ei suoi colleghi decisero di trasformare la propria newsletter interna ciclostilata in una rivista, si rivolsero a lei per disegnare la copertina del nuovo Bollettino.

L’ora originale dell’orologio, sette minuti a mezzanotte, trasmetteva urgenza, ma anche speranza, la sensazione che “ci fosse qualcosa che potessimo fare al riguardo“. E tutto questo in un’immagine che non dipende dalla lingua.

Da allora è apparso in romanzi sulla guerra fredda, episodi di Doctor Who, canzoni dei The Who e Iron Maiden. Boris Johnson ha fatto riferimento al Doomsday Clock nel suo discorso al vertice della Cop 26, a Glasgow, lo scorso novembre.

Chi decide che ora è?

All’inizio era  l’editore del bollettino, Eugene Rabinowitch, a decidere se le lancette dovessero essere spostate. Scienziato e leader del movimento internazionale per il disarmo, era in costante conversazione con scienziati ed esperti dei governi del mondo. Sulla base di queste discussioni, decideva ogni anno dove posizionare la lancetta dell’orologio. Spiegando il suo pensiero nelle pagine del Bollettino.

Quando Rabinowitch morì nel 1973, il Bulletin’s Science and Security Board si assunse la responsabilità del gesto. Da allora, si riunisce due volte l’anno per discutere degli eventi mondiali e ripristinare l’orologio, se necessario. Il consiglio è composto da scienziati e altri esperti della tecnologia nucleare e delle scienze del clima, che spesso forniscono consulenza a governi e agenzie internazionali. Si consultano ampiamente con i loro colleghi in una vasta gamma di discipline e cercano anche il parere del Bulletin’s Board of Sponsors, che comprende 13 premi Nobel.

Giulia Martensini

Classe '89, sono laureata in Giornalismo e Cultura Editoriale e mi occupo da diversi anni di redazione di contenuti per l'online e articoli in ottica SEO. Nata a Brescia, ho vissuto a Parma e Milano con una parentesi di 10 mesi a Salamanca. Lettrice accanita ed ex attivista di Greenpeace Italia, scrivo soprattutto di attualità, sostenibilità e cultura.

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