I dati disponibili indicano che i Paesi nei quali i giornalisti sono liberi di portare avanti il proprio lavoro senza vincoli sono sempre meno
Il 7 gennaio 2015 la libertà di stampa subì un duro colpo quando due individui mascherati (identificati in seguito come Saïd e Chérif Kouachi) fecero irruzione nella sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo e aprirono il fuoco con i loro AK-47, causando la morte di dodici persone. L’attacco, rivendicato dalla branca yemenita di Al-Qāʿida, avvenne in seguito alla pubblicazione di alcune caricature di Maometto (apparse per la prima volta nel 2005 sul quotidiano danese Jyllands Posten) e scatenò un’ondata di indignazione in Francia e in vari altri Paesi, portando alla nascita dello slogan “Je suis Charlie”, urlato nelle strade per sottolineare l’importanza di difendere la libertà di espressione e la libertà di stampa, principi inviolabili e tutelati da varie Costituzioni, tra cui quella italiana.
A distanza di dieci anni, di quello slogan non resta altro che una lontana eco, che suona beffarda di fronte ai dati riguardanti la libertà dei giornalisti nel mondo, sempre più spesso soffocata dalla stessa classe politica che dovrebbe impegnarsi per tutelarla.
L’indice della libertà di stampa 2024
Ogni anno, l’organizzazione non governativa Reporter senza frontiere realizza l’Indice della libertà di stampa, una classifica che riflette il grado di libertà che i giornalisti hanno nei vari Paesi del mondo, basandosi su un questionario contenente domande sul pluralismo, l’indipendenza dei media, l’ambiente e l’autocensura, la struttura legislativa, la trasparenza e le infrastrutture. Altri parametri presi in considerazione sono l’indipendenza dei media pubblici, la regolamentazione dei media dal punto di vista giuridico, la presenza di eventuali monopoli ecc.
L’ultima edizione dell’Indice, pubblicata nel corso del 2024, evidenzia una situazione allarmante in buona parte del mondo, soprattutto perché la comunità internazionale si è dimostrata restia a far rispettare i principi che tutelano il lavoro dei professionisti dell’informazioni, tra cui la “Risoluzione 2222” del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità per condannare le violenze e i crimini commessi contro i giornalisti nelle zone di guerra. Da quando è iniziato il conflitto tra Israele e Palestina, oltre cento giornalisti palestinesi sono stati uccisi dalle Forze di difesa israeliane (22 di essi sono morti mentre stavano svolgendo il proprio lavoro).
La classifica stilata da Reporter senza frontiere ha preso in considerazione 180 Paesi. Per quanto riguarda la libertà di stampa, la Palestina si è classificata al 157esimo posto, ma è finita nelle ultime 10 posizioni in un’altra graduatoria, quella riguardante la sicurezza dei giornalisti.
Politica, elezioni e disinformazione
Un dato piuttosto preoccupante riguarda le violazioni della libertà di stampa che si verificano in concomitanza delle chiamate alle urne. In Nigeria (112esima nella classifica di Reporter senza frontiere) e nella Repubblica Democratica del Congo (123esima) ci sono stati degli episodi di violenza contro i giornalisti in occasione delle elezioni svolte nel corso del 2024 e del 2023. In Paesi come il Niger (80esimo posto), il Burkina Faso (86esimo) e il Mali (114esimo), il potere è detenuto da giunte militari che esercitano un forte controllo sui media e ostacolano il lavoro dei giornalisti. Anche la rielezione di Recep Tayyip Erdoğan in Turchia desta delle preoccupazioni, soprattutto perché negli ultimi anni la nazione è scesa sempre più in basso nell’indice della libertà di stampa (al momento si trova al 158esimo posto).
Anche l’uso non regolamentato delle tecnologie di ultima generazione può rappresentare una minaccia. Durante il 2024 l’intelligenza artificiale è stata utilizzata per creare dei deepfake con i quali influenzare l’opinione pubblica in vista delle elezioni. Per esempio, in Slovacchia (che si trova al 29esimo posto nella classifica e ha perso dodici posizioni rispetto al 2023), 48 ore prima delle elezioni è stato pubblicato su Facebook una falsa registrazione audio nella quale sembrava che Michal Šimečka, ex vicepresidente del Parlamento europeo, parlasse di brogli elettorali con la giornalista Monika Todova.
Vari governi hanno iniziato a esercitare un controllo più stringente sui social media e su Internet in generale, limitando gli accessi, bloccando alcuni account e cancellando i messaggi contenti novità e informazioni sgradite. In Vietnam (174esimo) i giornalisti che esprimono il proprio punto di vista sui social media vengono quasi sempre imprigionati. In Cina (172esimo), dove ci sono più giornalisti dietro le sbarre che in qualsiasi altro Paese del mondo, il governo non esita a ricorrere alla censura sui contenuti diffusi dai media, in modo da ridurre la circolazione di quelli indesiderati.
Censura e tentativi di controllare i media
Alcuni partiti politici si sono dimostrati apertamente ostili nei confronti dei giornalisti, diffondendo odio e sfiducia nei loro confronti e arrivando persino a minacciarli. Altri hanno preferito cercare di prendere il controllo dei media. Ne è un perfetto esempio quanto avvenuto in Italia (46esima posizione), dove ha fatto parecchio discutere il tentativo del parlamentare della Lega Antonio Angelucci di acquistare l’agenzia di stampa Agi.
Spesso i partiti politici contribuiscono a dare risonanza alle campagne di disinformazione. In 138 dei 180 Paesi presi in esame per realizzare l’indice della libertà di stampa, la maggior parte di chi ha partecipato al questionario ha evidenziato l’esistenza di un legame tra le figure politiche e la diffusione di fake news. In ben 31 nazioni questo coinvolgimento è stato descritto come “sistematico”.
La censura dei media si è intensificata particolarmente nei Paesi dell’Europa orientale e dell’Asia Centrale, dove sono stati messi in atto dei metodi di repressione non dissimili da quelli usati in Russia (162esima posizione). Ciò è vero soprattutto per la Bielorussia (167esima), la Georgia (103esima), il Kyrgyzstan (120esima) e l’Azerbaijan (164esima). L’influenza del Cremlino si è fatta sentire anche in Serbia (98esima), dove la propaganda russa trova terreno fertile (nonché casse di risonanza) e i giornalisti russi esiliati sono minacciati dalle autorità. In Russia, la prosecuzione della guerra con l’Ucraina, assieme alla prevedibile rielezione del presidente Vladimir Putin, non hanno contribuito a migliorare le condizioni nelle quali operano i giornalisti, che sono sempre meno liberi di criticare l’operato del governo.
Tra i colori dell’indice della libertà di stampa il verde è sempre più raro
Per rendere facile capire quanto la libertà di stampa sia tutelata o meno in una specifica nazione, Reporter senza frontiere utilizza cinque colori, a ognuno dei quali corrisponde una situazione diversa. Il verde rappresenta una situazione ideale, il giallo una un po’ meno idilliaca ma comunque soddisfacente, l’arancione chiaro evidenzia la presenza di condizioni problematiche, che diventano “difficili” con l’arancione scuro e “molto gravi” con il rosso. In Europa e in Asia centrale quest’ultimo colore non è così diffuso (si parla del 13,1%), ma le sfumature di arancione sono già più presenti, anche se per fortuna circa la metà delle nazioni è gialla (35,85%) o verde (15,09%). Fa purtroppo eccezione l’Italia, che nel 2024 si è tinta di arancione chiaro. Come evidenziato all’interno dell’indice, talvolta i giornalisti italiani cedono all’autocensura sia per conformarsi alla linea editoriale della testata per la quale scrivono sia per evitare una causa per diffamazione o altre forme di azione legale.
A livello mondiale, le nazioni più virtuose dal punto di vista della libertà di stampa sono Norvegia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Finlandia. Le ultime cinque posizioni della classifica sono occupate da Iran, Corea del Nord, Afghanistan, Siria ed Eritrea.
Per approfondire: Charlie Hebdo, sono passati dieci anni dalla strage jihadista del 7 gennaio 2015