La strage avvenuta a Bucha, cittadina situata a nord-ovest di Kiev, è stata paragonata al massacro di Srebrenica, risalente all’11 luglio 1995. Nella città della Bosnia-Erzegovina furono uccisi circa ottomila tra uomini e ragazzi musulmani bosniaci (bosgnacchi). I loro corpi vennero gettati nelle fosse comuni, proprio come avvenuto a Bucha, per nascondere le prove di quello che, anni dopo, venne etichettato come un genocidio. Ma come si arrivò a quel punto? E perché nessuno fu in grado di intervenire?
Il massacro di Srebrenica
Per rispondere a queste domande è necessario tornare con la mente all’inizio degli anni ’90, quando avvenne la dissoluzione della federazione Jugoslava e scoppiarono una serie di guerre. Una di queste si svolse in Bosnia-Erzegovina tra il 1992 e il 1995 e coinvolse bosniaci, serbi e croati. Nel conflitto persero la vita più di 100mila persone e ognuna delle fazioni coinvolte si macchiò di terribili crimini di guerra. In particolare, l’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, sotto la guida del generale Ratko Mladic (in seguito soprannominato il “macellaio dei Balcani”), entrò a Srebrenica, enclave serba in territorio bosniaco, e diede il via a una strage priva giustificazione. Questo gesto fu reso ancora più grave dal fatto che all’epoca la città era stata dichiarata dall’Onu come zona protetta e si trovava sotto la tutela di un contingente olandese della Forza di Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR).
Leggi anche: Crimini di guerra, cosa sono e a chi spetta giudicarli
Come accertato da una sentenza della Corte internazionale di giustizia del 2007, le forze militari portarono avanti il massacro con il preciso intento di distruggere il gruppo etnico dei bosgnacchi, dando vita a un vero e proprio genocidio. Per provare a salvarsi, circa 15mila bosniaci musulmani fuggirono nei boschi presenti attorno all’enclave. Molti di loro vennero inseguiti e uccisi dai soldati serbi. Il resto della popolazione si ammassò attorno alla base delle Nazioni Unite, nella speranza che le forze dell’Onu potessero proteggerla. Purtroppo i Caschi Blu non poterono intervenire in alcun modo. Le risoluzioni Onu votate fino a quel momento, infatti, non fornirono alla Forza di protezione i mezzi necessari per agire.
Per nascondere le prove del genocidio, le truppe serbe scavarono delle fosse comuni con dei bulldozer. In seguito sparpagliarono i cadaveri in vari luoghi di sepoltura. Molte delle vittime sono state rintracciate e identificate tramite il test del Dna negli anni successivi al massacro, tuttavia ancora oggi molti nomi mancano all’appello.