Si apre a Baku, in Azerbaigian, la 29esima edizione del meeting delle Nazioni Unite sul clima
Lunedì, a Baku, capitale dell’Azerbaijan, è iniziata la COP29, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, un evento di rilevanza mondiale che durerà fino al 22 novembre. La COP29 è l’occasione per i leader globali di stabilire nuovi piani e obiettivi, con il focus quest’anno rivolto alla “finanza climatica”. Questo termine, che ha assunto un significato chiave nella diplomazia climatica, fa riferimento ai finanziamenti promessi dai Paesi più ricchi per supportare quelli meno sviluppati nell’affrontare i cambiamenti climatici.
Un evento importante, che però ha registrato qualche assenza eccellente. Né Emmanuel Macron né Olaf Scholz parteciperanno al vertice, non è atteso neanche il brasiliano Lula e il colombiano Gustavo Petro alle prese con le inondazioni che hanno colpito il suo Paese. In seguito alle aggressioni dei tifosi israeliani ad Amsterdam anche Dick Schoof è rimasto in Olanda.
Le radici e i limiti della finanza climatica: un impegno mai del tutto rispettato
L’impegno iniziale dei Paesi più ricchi a finanziare le nazioni in via di sviluppo risale alla COP15 del 2009, dove fu stabilito l’obiettivo di raccogliere 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Tale somma doveva sostenere i progetti di mitigazione delle emissioni e le misure di adattamento. Nonostante la proroga dell’impegno con l’Accordo di Parigi del 2015, l’obiettivo è stato disatteso. Ad oggi, il sostegno finanziario non ha raggiunto le somme promesse, e molte delle risorse stanziate sono state offerte sotto forma di prestiti piuttosto che come donazioni, esponendo i Paesi destinatari a oneri finanziari aggiuntivi.
Le discussioni a Baku si concentrano su un “Nuovo Obiettivo Finanziario per il Clima” (NCQG) per il periodo successivo al 2025. La questione principale è stabilire un obiettivo che rifletta non solo le necessità dei Paesi più vulnerabili, ma anche le possibilità concrete degli Stati finanziatori, attraverso un bilancio equo di fondi pubblici, investimenti privati e donazioni a fondo perduto. Sono emersi attriti sugli impegni futuri: Paesi in via di sviluppo chiedono che una parte dei fondi sia destinata anche al risarcimento dei danni subiti a causa del cambiamento climatico, ma questa richiesta incontra resistenze da parte delle nazioni più ricche.
I Paesi in via di sviluppo e il fondo per perdite e danni: una lotta per la giustizia climatica
Il concetto di “perdite e danni” ha acquisito crescente rilievo nei dibattiti internazionali. Paesi come il Bangladesh, l’Etiopia e le piccole isole del Pacifico, tra i più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, invocano giustizia climatica, chiedendo che chi ha storicamente contribuito alle emissioni si assuma la responsabilità di sostenere chi oggi ne subisce le conseguenze. L’istituzione di un fondo specifico per le perdite e i danni è stata una conquista della COP28 di Dubai nel 2023, e a Baku si cerca di stabilire dettagli su come questo fondo verrà gestito e finanziato.
Il dibattito su chi debba contribuire maggiormente a tale fondo rimane acceso. In particolare, gli Stati Uniti e l’Unione Europea premono affinché nuove potenze economiche come la Cina, oggi il maggiore emettitore di gas serra, contribuiscano in misura significativa. Questo tentativo di coinvolgere nuovi attori internazionali è un aspetto centrale dei negoziati, ma Paesi come la Cina sottolineano il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”, un fondamento della diplomazia climatica che sostiene la differenziazione degli obblighi tra nazioni ricche e Paesi in via di sviluppo.
Il cambiamento climatico e la crisi umanitaria: il ruolo dell’UNHCR
In occasione della COP29, un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha richiamato l’attenzione sulla drammatica intersezione tra cambiamento climatico e crisi umanitaria. Secondo l’UNHCR, circa 120 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di spostamento forzato e, tra questi, oltre tre quarti risiedono in aree colpite gravemente dagli effetti climatici estremi. La situazione è particolarmente critica in nazioni come l’Etiopia, Haiti, Myanmar, Somalia, Sudan e Siria, dove guerre e povertà si intrecciano con calamità naturali sempre più frequenti e devastanti.
Gli esperti prevedono che, entro il 2040, il numero di Paesi esposti a rischi climatici estremi passerà da tre a 65, coinvolgendo spesso aree già caratterizzate da conflitti e instabilità sociale. L’Alto Commissario Filippo Grandi ha espresso preoccupazione per le condizioni dei rifugiati, evidenziando come il cambiamento climatico stia aggravando una crisi di sicurezza globale, in cui milioni di persone non trovano rifugio dalle forze combinanti della guerra e delle catastrofi naturali.
Il riscaldamento globale: un traguardo sfuggente e un futuro incerto
Le preoccupazioni espresse alla COP29 sono corroborate dai dati dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), che ha pubblicato un rapporto in apertura della conferenza, sottolineando che il decennio 2015-2024 sarà probabilmente il più caldo mai registrato. Nel 2024, la temperatura media della superficie terrestre ha superato la soglia critica di 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali. Questo dato è allarmante, ma, come ha spiegato Celeste Saulo, segretaria generale della WMO, un superamento temporaneo non implica che l’obiettivo dell’Accordo di Parigi sia stato completamente compromesso.
Le oscillazioni nelle temperature globali, influenzate da fenomeni come El Niño, causano un aumento della frequenza e intensità di eventi estremi come siccità, incendi e cicloni. Secondo Saulo, il riscaldamento è ormai una realtà che minaccia la stabilità economica globale, poiché causa danni enormi alle catene di approvvigionamento e ai prezzi delle materie prime, influenzando ogni economia. La rivoluzione delle energie rinnovabili, offre comunque una speranza: il costo della produzione di energia solare ed eolica è ormai competitivo, e Saulo ha esortato i leader globali a non ostacolare questo progresso e ad assicurare che la transizione energetica avvenga in modo rapido e inclusivo.
La visione di Guterres: un appello alla responsabilità globale
Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha pronunciato un discorso incisivo alla COP29, evidenziando come il 2024 sia stato un anno di lezioni amare per l’umanità, costretta a fare i conti con i disastri climatici in corso. Uragani, incendi e inondazioni hanno devastato comunità in ogni continente, costringendo famiglie a fuggire, distruggendo colture e infrastrutture e alimentando crisi sociali e alimentari. Secondo Guterres, nessun Paese è immune dagli effetti del cambiamento climatico, e l’inazione minaccia di trasformare la vita quotidiana in una lotta costante per la sopravvivenza.
In chiusura del suo intervento, Guterres ha ribadito la necessità di stabilire obiettivi finanziari realistici e ambiziosi, fissando una soglia di almeno un trilione di dollari all’anno per sostenere la transizione globale. Le sue tre priorità includono riduzioni urgenti delle emissioni, protezione delle comunità vulnerabili e una transizione energetica giusta ed equa. I Paesi del G20, in quanto principali responsabili delle emissioni, hanno un ruolo fondamentale in questo processo e devono guidare l’azione climatica con decisione e solidarietà.