Tra il peronismo progressista di Sergio Massa e le ricette ultra-liberiste di Javier Milei, gli argentini hanno premiato il primo ma non abbastanza da assicurargli l’ingresso nella Casa Rosada il prossimo 10 dicembre. Per capire che direzione prenderà il Paese bisognerà attendere il ballottaggio, in programma il 19 novembre. “Un salto nel vuoto con Milei? O un ritorno alla crisi del 2001 con Massa?”, è la sintesi efficace che si poteva ascoltare ieri nei commenti televisivi davanti al bivio in cui si trova Buenos Aires.
Lo spoglio delle schede ha attribuito il 36,5% dei voti al leader del centrosinistra di Union por la patria, attuale ministro dell’Economia, mentre il “Trump d’Argentina”, a capo di Libertad Avanza, è all’inseguimento con il 30%. Un esito inaspettato che ha ribaltato i risultati Paso, le primarie del 13 dicembre scorso, quando a vincere era stato Milei con il 29,86% dei voti mentre Massa era arrivato secondo con il 21,43%.
L’affluenza è stata la più bassa dal ritorno alla democrazia, nel 1983. Solo il 74% degli elettori argentini si è recato alle urne.
In vista del secondo turno, la battaglia per conquistare i voti degli avversari sconfitti intanto è già iniziata. È uscita dalla contesa la conservatrice Patricia Bullrich, candidata della coalizione di centrodestra Insieme per il Cambiamento, che ha ottenuto il 23,8% dei consensi. Voti che secondo gli analisti potrebbero andare in larga parte alla destra. “Non ci congratuleremo con uno dei ministri del peggior governo che questo Paese abbia mai avuto”, ha detto Bullrich, spazzando via qualsiasi ipotesi di intesa col peronismo. “L’Argentina deve abbandonare il populismo se vuole crescere e porre fine alla povertà”.
La grande preoccupazione resta l’incertezza che regnerà ancora per un mese sui mercati, con nuove turbolenze e la volatilità dei cambi, in un Paese con l’economia a brandelli, con l’inflazione che galoppa verso il 140%, il tasso di povertà è al 40% e un divario del tasso di cambio oltre il 200%.
Il peronismo progressista di Sergio Massa
Massa, il candidato della coalizione di governo peronista che ha dominato la politica argentina per decenni, è quello che si definisce un “immigrato di seconda generazione“. I suoi genitori, madre triestina e madre siciliano, arrivarono dall’Italia nel dopoguerra.
Il 51enne ha promesso che non ci sarà una nuova svalutazione del peso a breve. E nel suo primo discorso dopo il voto ha dichiarato che, se verrà eletto presidente, convocherà “un governo di unità nazionale che metta fine alla storica divisione fra gli argentini” composto dai “migliori, indipendentemente dalla loro forza politica”.
Ha assicurato che “lavorerà per dare ai cittadini più ordine, più sicurezza, meno improvvisazione e regole chiare, e soprattutto che i nostri figli portino zaini con dentro libri e non un’arma“, alludendo al progetto di liberalizzare le armi dell’avversario Melei.
Il progressista è convinto di poter trascinare il Paese fuori dal pantano grazie allo sviluppo del settore energetico e delle materie prime come il litio. Promette di “cancellare il debito col Fmi”, il Fondo monetario internazionale, e di puntare sul multilateralismo, compreso l’ingresso nei Brics, il gruppo delle economie emergenti.
L’ultra liberismo di Javier Melei
Per una rottura dei rapporti con Pechino, è invece Milei, 53 anni, amico dell’ex presidente brasiliano Eduardo Bolsonaro, che non a caso è arrivato allo Sheraton Libertador di Buenos Aires per sostenerlo, così come l’europarlamentare di Vox Hermann Tertsch, il partito spagnolo di ultra destra.
La sua ricetta economica passa per il taglio delle tasse, la chiusura della Banca centrale e la dollarizzazione del Paese, rendendo il biglietto verde la moneta di corso legale nel Paese. Promuove la privatizzazione di sanità, scuole e trasporti. Anti-abortista, afferma che i cambiamenti climatici sono una “farsa della sinistra”. Tra le proposte estreme annunciate da Mieli anche l’abolizione dei ministeri dell’Educazione, dello Sviluppo sociale, della Salute e dei Lavori pubblici, per raggrupparli in un unico dicastero del Capitale umano.
Se eletto, Milei vuole liberalizzare la vendita delle armi e degli organi. Nel suo primo discorso dopo il voto, l’economista ultra-liberale si è rivolto agli elettori di Bullrich invitandoli a votare contro il peronismo. “A novembre si dovrà scegliere tra la continuità di questo modello che ha impoverito l’Argentina o farla finita con l’inflazione, l’insicurezza e tornare a vivere in libertà”.
Il candidato della destra si è presentato come una rottura rispetto al passato. “Tutti noi che vogliamo il cambiamento dobbiamo lavorare insieme”, perché “il kirchnerismo è stata la cosa peggiore accaduta in Argentina”, ha detto alludendo alla dinastia politica dei Kirchner, che si sono alternati alla Casa Rosada dal 2003 al 2015.
Ma le sue ricette drastiche hanno evidentemente spaventato l’elettorato spingendolo a puntare sul sicuro.
Cos’è il peronismo
Il peronismo, il movimento politico e sociale fondato nel 1943 da Juan Domingo Perón, continua a polarizzare il Paese, con una fetta importante degli argentini che ancora lo approva. Non a caso viene definita una “religione politica”. L’ideologia è quella della “terza via economica”, alternativa al liberalismo e al comunismo. Per questo il movimento è stato di ispirazione tanto per i partiti di sinistra quanto per quelli di destra.
Populista, nazionalista e assistenzialista, il peronismo in politica estera conserva una posizione di equidistanza rispetto ai blocchi capitalista e comunista. La giustizia, combinata con il socialismo e il sindacalismo, è un altro aspetto qualificante. È un fenomeno corporativo che pone al centro della società i gruppi organizzati non gli individui. Il dissenso non è ammesso.
Le ricette economiche sono ciò che lo avvicina di più a un partito di sinistra. La Costituzione del 1949 sancisce la funzione sociale della proprietà privata e il compito dello Stato di eliminare le disuguaglianze. Da qui la nazionalizzazione delle imprese dei servizi – dall’acqua elle ferrovie – e l’avvio di un ampio processo di redistribuzione della ricchezza, grazie alle abbondanti riserve di oro e valuta straniera. Viene limitata la libera concorrenza e istituito il monopolio del commercio estero.
Se Perón è stato un capo carismatico che ha riunito in sé potere politico e militare, in una parte importante della popolazione resta vivo il mito di Evita Perón, la first lady d’Argentina. La sua immagine ancora oggi è presente ovunque. Lei stessa si definiva “il ponte che collega Perón con il popolo”. Nel 1949 fonda il Partito peronista femminile. L’impegno sociale, a favore della classe operaia e delle donne, è la cifra della sua attività politica. Quando a soli 33 muore a causa di un tumore, viene proclamato il lutto nazionale per un mese. Al suo funerale partecipano oltre due milioni di argentini.
Spaccato al suo interno fra un’ala destra e una sinistra, il peronismo apre la strada alla feroce dittatura militare che dal 1976 al 1983 tenne in scatto l’Argentina.