Durante il pride month, che si celebra ogni anno a giugno, sono parecchie le aziende che, in un modo o nell’altro, mostrano il proprio supporto alla comunità LGBTQIA+. Certo, la maggior parte sembrano farlo solo per una questione di immagine, ma ce ne sono alcune che nel corso degli anni hanno cercato di fare la differenza. Nel 1999, Amazon ha lanciato Glamazon, un gruppo di affinità dedicato alle politiche di inclusione e non discriminazione delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali all’interno dell’azienda. Inoltre, negli ultimi anni il colosso dell’e-commerce ha cercato di favorire il processo di transizione dei propri dipendenti transessuali.
Alcuni esponenti della comunità LGBTQIA+ ritengono che Amazon potrebbe fare ancora di più per fare la differenza, però la buona volontà sembra già esserci. È solo una facciata? È possibile, soprattutto considerando che la compagnia è stata da poco accusata di aver supportato, attraverso delle donazioni, dei politici notoriamente avversi alle relazioni omosessuali. Resta il fatto che, per un motivo o per l’altro, l’azienda fondata da Jeff Bezos ha sempre cercato di apparire amichevole nei confronti della comunità LGBTQIA+.
Amazon e le pressioni del governo degli Emirati Arabi Uniti
Ma anche un colosso come Amazon può fare poco nei Paesi in cui la discriminazione nei confronti di chiunque non sia eterosessuale è ancora forte. Negli Emirati Arabi Uniti, la piattaforma di e-commerce è stata costretta ad adeguarsi alla richiesta del governo di impedire agli utenti di cercare prodotti legati al mondo LGBTQIA+. Nel Paese che ha ospitato l’ultima Esposizione Universale, le relazioni tra persone dello stesso sesso sono illegali e punibili con multe o reclusione.
Tra i prodotti che sono stati rimossi dal catalogo di Amazon ci sono alcuni libri legati alle sfera queer, come “Gender Queer: A Memoir”, di Maia Kobabe. La piattaforma di e-commerce è anche stata costretta a nascondere i risultati di ricerca legati a più di 150 parole chiave. Tra queste ci sono “lgbtq”, “pride”, “bandiera transgender” e “binder per lesbiche”. Al momento non è chiaro cosa avrebbe rischiato Amazon se non si fosse adeguata alle richieste del governo degli Emirati Arabi Uniti.