Jimmy Carter, 39° presidente USA, noto per crisi energetica e accordi di pace. Premio Nobel e longevità straordinaria
È scomparso all’età di 100 anni Jimmy Carter, il 39° presidente degli Stati Uniti, in carica dal 1977 al 1981. Carter guidò il Paese in un periodo complesso, caratterizzato dalla crisi energetica e dalla crisi degli ostaggi americani a Teheran, due eventi che segnarono profondamente il suo mandato.
Nonostante la sua mancata rielezione, condivisa con figure come George H. W. Bush e Donald Trump, Carter detiene il primato di essere il presidente americano vissuto più a lungo. La notizia della sua morte è stata diffusa dal figlio, James E. Carter III, che ha dichiarato che Carter è morto domenica nella sua casa a Plains, in Georgia.
Jimmy Carter, il 39° presidente degli USA arrivato a 100 anni
Grazie alla sua straordinaria longevità, Carter ha avuto il tempo e l’opportunità di costruire personalmente la sua eredità politica, allontanandosi dall’immagine di “presidente perdente”. Nel febbraio 2023, dopo vari ricoveri in ospedale negli anni precedenti, Carter aveva scelto di tornare a casa per ricevere cure palliative. Questo riflette la sua resilienza e l’impegno a vivere con dignità fino alla fine.
Lo storico Joseph Crespino, intervistato dal Washington Post, ha sottolineato come sia raro per un presidente vivere abbastanza a lungo da assistere alla formazione della propria legacy politica. Secondo Crespino, Carter ha trasformato la sua sconfitta del 1980 contro Ronald Reagan in una vittoria morale: ha sfruttato la sua notorietà per promuovere cause umanitarie, aiutare milioni di persone e conquistare il Premio Nobel per la Pace nel 2002.
Jimmy Carter nacque nel 1924 a Plains, una piccola città agricola della Georgia, da una famiglia di agricoltori. Fin da giovane, dimostrò una straordinaria capacità di apprendimento e determinazione. Prestò servizio nella Marina Militare e si laureò in fisica nucleare presso lo Union College, specializzandosi in tecnologia dei reattori nucleari.
Queste competenze lo portarono a lavorare nel programma dei sottomarini nucleari, sia nell’Oceano Pacifico che nell’Atlantico. Tuttavia, la morte del padre nel 1953 lo spinse a tornare a Plains per occuparsi dell’azienda agricola di famiglia, dove si dedicò con passione alla coltivazione e vendita di arachidi, applicando le sue conoscenze scientifiche per migliorare l’attività.
Negli anni successivi, Carter divenne un punto di riferimento per la sua comunità. Assunse ruoli amministrativi locali, gestendo questioni legate all’istruzione, alla sanità e alle biblioteche. Nel 1962 fu eletto senatore della Georgia, e nel 1971 divenne governatore dello stato dopo una campagna elettorale segnata da un discorso progressista e innovativo.
Quando Carter annunciò la sua candidatura alla presidenza nel 1976, era pressoché sconosciuto a livello nazionale. Tuttavia, sfruttò la sua immagine di outsider politico e imprenditore per costruire una campagna basata sull’onestà e sulla trasparenza, in un periodo in cui la fiducia degli americani nella politica era ai minimi storici a causa dello scandalo Watergate. Pubblicò l’autobiografia Why Not the Best? e percorse oltre 80.000 chilometri in 37 stati, presentandosi come un candidato diverso dagli altri.
Uno degli elementi più curiosi della sua campagna fu una mascotte: una scultura di legno raffigurante un’arachide gigante con un ampio sorriso, simbolo delle sue radici agricole. Carter riuscì a vincere sia le primarie democratiche che le elezioni generali, battendo il repubblicano Gerald Ford. La sua vittoria, sebbene di misura, rappresentò una speranza per il rinnovamento.
Il mandato presidenziale di Carter, però, fu segnato da sfide enormi. La crisi energetica, derivante dallo “shock petrolifero” del 1973 causato dall’OPEC, e la conseguente stagflazione (un mix di inflazione e stagnazione economica) crearono grandi difficoltà. Carter cercò di affrontare questi problemi con tagli alla spesa pubblica e linee guida per il controllo di salari e prezzi, ma queste misure non furono sufficienti. La situazione peggiorò ulteriormente con la rivoluzione iraniana del 1979, che portò a un nuovo aumento del prezzo del petrolio.
Carter cercò di modernizzare l’immagine della presidenza, adottando uno stile più informale e vicino alla gente. Tuttavia, la sua amministrazione fu duramente colpita dalla crisi degli ostaggi a Teheran, in cui 53 dipendenti dell’ambasciata americana in Iran furono presi in ostaggio. Questa crisi, durata 444 giorni, rappresentò un colpo significativo alla sua credibilità.
Nonostante i fallimenti percepiti, Carter ottenne successi importanti in politica estera. Gli Accordi di Camp David tra Israele ed Egitto nel 1978, la firma del trattato SALT II per il controllo delle armi strategiche e la normalizzazione delle relazioni con la Cina furono traguardi significativi. Inoltre, Carter pose i diritti umani al centro della politica estera americana, un approccio che avrebbe avuto un impatto duraturo.
Alle elezioni presidenziali del 1980, però, Carter fu sconfitto da Ronald Reagan, che lo batté con una vittoria schiacciante. Questa sconfitta lo rese uno dei pochi presidenti americani a non essere rieletto, consolidando la percezione della sua presidenza come “debole”. Tuttavia, negli anni successivi, Carter riuscì a riabilitare la sua immagine pubblica, dedicandosi ad attività umanitarie.
Con la sua fondazione, il Carter Center, lavorò per combattere malattie come quella causata dal parassita del verme della Guinea. Il suo impegno per la salute globale e la risoluzione pacifica dei conflitti gli valse il Premio Nobel per la Pace nel 2002. Lo storico Kai Bird, autore di una biografia su Carter, ha descritto il presidente come un uomo di grande integrità e visione, spesso sottovalutato dalla storiografia tradizionale.
Secondo Bird, Carter fu un leader più significativo di quanto venga ricordato. I suoi successi in politica estera e il suo impegno per i diritti umani rappresentano un’eredità duratura che va ben oltre i limiti del suo mandato presidenziale.
La storia di Jimmy Carter non è solo quella di un presidente che ha affrontato momenti difficili, ma anche di un uomo che ha saputo trasformare le sconfitte in opportunità per servire l’umanità.Addio a Jimmy Carter, il 39° presidente degli USA