Il blocco dei licenziamenti arriverà, tra poco più di un mese, alla data di scadenza. Dal prossimo 1° aprile, infatti, le aziende potranno ricominciare a licenziare i propri dipendenti anche senza giustificato motivo. Chiaramente, bisogna ancora capire come il nuovo Governo Draghi intenda trattare la questione. La volontà, al momento, sembrerebbe quella di estendere il blocco per un altro mese per poi iniziare a “ritirarlo” nei settori in ripresa.
Licenziare un dipendente non è semplice. Soprattutto, è un ulteriore costo per il datore di lavoro.
Come funziona il ticket di licenziamento e a chi è dovuto
Infatti, il datore di lavoro è tenuto a pagare il cosiddetto ticket di licenziamento. Le aziende infatti devono prendere in carico tutti i casi in cui l’interruzione del rapporto di lavoro possa comportare il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione.
Gli importi per il ticket sono stati aggiornati al 2021 e l’obiettivo della sua emissione è quello di finanziare il fondo per la Naspl, la nuova assicurazione sociale per l’impiego.
Per capire quanto i licenziamenti possano costare ai datori di lavoro, bisogna innanzitutto calcolare il valore del ticket. Per farlo bisogna considerare il 41% del massimale mensile del trattamento di disoccupazione. In seguito, bisogna moltiplicare il risultato ottenuto per gli anni di anzianità, fino ad un massimo di tre anni.
A quanto ammonta il ticket
Ad esempio, tenendo conto dei dati aggiornati al 2021, l’importo del ticket di licenziamento con tre o più anni di servizio è di oltre 1.500 euro. Per chi ha lavorato per un anno nella stessa attività, invece, il ticket dovrebbe ammontare a circa 500 euro.
Il discorso sarà diverso invece per tutte quelle aziende che dovranno procedere con dei licenziamenti collettivi. Gli importi dovuti ai dipendenti, infatti, saranno diversi. Chi avrà maturato un solo anno di esperienza dovrà ricevere un ticket di licenziamento che andrà da un minimo di 1.509,84 euro ad un massimo di 4.529,52 euro.
Come spiegato da Money.it, il datore di lavoro deve pagare il ticket solo nei casi di lavoro a tempo indeterminato e nel momento in cui andrà disposto l’assegno di disoccupazione. Ma non solo. Infatti il datore dovrà pagare i costi del ticket anche nel caso in cui il dipendente non abbia i requisiti per beneficiare della Naspl. Tutto questo è riportato nella circolare numero 44 del 2020 dell’Inps, che ha proprio chiarito i doveri dei datori di lavoro in materia di ticket di licenziamento.
Ci sono, infine, dei casi il cui non è dovuto il ticket di licenziamento. Ad esempio, se il dipendente è titolare di pensione, se la società dichiara fallimento o se le dimissioni arrivano direttamente dal lavoratore.
Italia unico Paese con il blocco dei licenziamenti ancora attivo
Al momento, l’Italia è l’unico Paese in Europa ad avere ancora attivo il blocco dei licenziamenti. Inoltre, è uno dei pochi in cui la cassa integrazione è offerta a tutti ed è pagata interamente dal debito pubblico. A questo si aggiunge che l’Italia, in proporzione, è il Paese che ha attivato più sussidi alle imprese, come scadenze fiscali sospese e garanzie bancarie.
A fronte del blocco dei licenziamenti, dall’inizio della pandemia da Coronavirus ad oggi in Italia sono stati persi 440mila posti di lavoro.