Nel primo bimestre del 2023 si è consolidata la caduta delle domande per accedere al reddito e alla pensione di cittadinanza: sono state infatti 90.287 le richieste rispetto alle 261.378 dello stesso periodo del 2022, una diminuzione del 65,23 %.
Il crollo delle richieste è avvenuto a febbraio 2023, durante il quale sono giunte all’Inps solo poco più di 2mila domande, mentre a gennaio ce ne sono state 88.184.
Stesso trend per i nuclei familiari percettori: a febbraio erano 1.001.743 contro i 1.169.203 di gennaio, con una flessione del 14,37%. Diminuisce anche la spesa mensile che a febbraio è stata di 576,3 milioni, contro i 657,8 milioni di gennaio.
Ma perché questo andamento? La tendenza è il frutto di una serie di ragioni: c’è un fattore congiurale, poiché entro gennaio doveva essere presentata la Dsu (Dichiarazione sostituiva unica) per ottenere o mantenere il beneficio ed è probabile che in molti non abbiano fatto in tempo.
Essendo poi una misura avviata ad aprile del 2019, dalla scorsa estate si registra una progressiva diminuzione di nuove richieste. Il numero di richiedenti si è ormai assestato e questo potrebbe spiegare il calo delle richieste, poiché coloro che avevano i requisiti per fare domanda è da supporre che lo abbiano già fatto.
Perdita dell’appeal del Reddito e la ripresa occupazionale
Sul calo di richieste del reddito e della pensione di cittadinanza c’è anche un fattore psicologico: la misura è in scadenza a fine anno e il Governo ha annunciato che da gennaio 2024 non ci sarà più il Reddito di cittadinanza, il quale verrà sostituito da un nuovo strumento, Mia, frutto di una parziale stretta introdotta dalla legge di Bilancio.
Inoltre è possibile che il sussidio stia perdendo appeal sulle persone. Ad esempio gli occupabili quest’anno possono ottenerlo solo per sette mesi.
Ma la minor richiesta del sussidio è data anche dall’effetto della ripresa del mercato del lavoro, il quale ha segnato una crescita del numero di occupati.
Da gennaio a febbraio sono stati creati oltre 100mila posti di lavoro al netto delle cessazioni, secondo le rilevazioni della Banca d’Italia, del ministero del Lavoro e dell’Anpal, l’incremento è superiore al doppio di quello del bimestre precedente e maggiore di circa un terzo rispetto agli stessi mesi del 2019, precedenti la pandemia.
La spinta occupazionale potrebbe aver prodotto l’alto numero di percettori del Rdc che sono decaduti dal sussidio nel bimestre: sono 99.998 nuclei familiari, che in prevalenza si stima abbiano perso i requisiti reddituali per ottenerlo. Per avere un termine di paragone in tutto il 2022 erano stati 314.261.
Il calo di domande potrebbe dipende anche dall’aumento dei controlli, quindi anche sulle domande rifiutate, considerando che i nuclei revocati dal diritto nel bimestre sono stati 21.598.
“Siamo davanti a un rallentamento determinato dall’andamento positivo del mercato del lavoro che si è tradotto in una riduzione del numero degli inattivi e una crescita del numero degli occupati. – commenta Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt – Inattivi che è probabile che fossero in parte percettori del reddito di cittadinanza”.