Meno pagate rispetto ai colleghi uomini, spesso precarie e con pochi servizi a disposizione per conciliare vita e lavoro. In Italia per le donne il mondo del lavoro è ancora un campo minato da ostacoli. Tanto che una su cinque lascia il posto dopo la maternità. Non a caso la Penisola è fanalino di coda nell’Unione europea quanto a occupazione femminile. Nel quarto trimestre del 2022 il tasso è fermo al 55%, quasi 14 punti percentuali sotto la media europea (69,3%). Il dossier del Servizio studi della Camera certifica una volta di più quanta strada resti da fare verso la parità di genere nel mondo del lavoro.
Poco pagato, part-time e precario
L’analisi evidenzia come il lavoro delle donne sia in prevalenza sottopagato, precario, in settori “poco strategici” e part-time (49% contro il 26,2% dei colleghi uomini). Tutti fattori che concorrono a disincentivare l’occupazione femminile.
Senza contare la carenza di servizi essenziali per conciliare vita e lavoro, in testa gli asili nido. Dopo la pandemia i posti risultano in crescita (+1.780 posti), “ma le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno”. Con una penalizzazione maggiore per le “famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese”. Non aiuta quindi il taglio netto di 100mila posti previsti nel Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza.
Lavoro e maternità, una donna su cinque lascia il posto
Non a caso la scelta di abbandonare il lavoro è determinata per oltre la metà delle donne (52%) dalla difficoltà a conciliare vita familiare e lavoro. Le ragioni di tipo economico pesano invece per il 19%. Emblematico il fatto che una donna su cinque decida si uscire dal mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio. Nel 2022 il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5% (+1,6 punti rispetto al 2021), mentre quello delle colleghe della stessa età senza figli è del 76,6% (+2,7%).
Allo stesso tempo l’istruzione “si conferma fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli“. Con un titolo di studio più elevato infatti la differenza occupazionale si riduce notevolmente.
Divario retributivo tra uomini donne al 43%
Il cosiddetto “gender pay gap” resta “accentuato”. Secondo gli ultimi dati Eurostat, il divario retributivo medio (la differenza oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che è del 13%), mentre quello complessivo (relativo al salario medio annuo) sale al 43%, contro il 36,2% della media Ue.
Il dossier registra “un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro“: le donne occupate sono circa 9,5 milioni, contro i 13 milioni di uomini impiegati.
Anche l’Inps ha certificato un gap salariale notevole nel settore privato, pari in media a 7.922 mila euro l’anno. Un dato in aumento, seppur di poco, rispetto al 2021 quando era pari a 7.908 euro. A conti fatti, la retribuzione media annua degli uomini ammonta a 26.227 euro, contro i 18.305 delle donne, ovvero il 33% in più.
Un gap che a fine carriera presenta il conto, con le pensioni delle donne in media più leggere del 36% rispetto all’assegno percepito dagli uomini. E questo nonostante rappresentino il 52% della platea dei pensionati.
Dallo sconto per le assunzioni al bonus asili nido
La Manovra appena approvata dalla Camera contiene alcune misure che provano a incentivare l’occupazione femminile. Difficile dire se riusciranno a invertire la tendenza. Tra le altre cose, è prevista una maxi decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato, che sale ulteriormente per madri o donne disoccupate, giovani ed ex beneficiari del Reddito di cittadinanza fino a toccare il 130%.
Aumenta il bonus per gli asili nido, pubblici e privati, e per forme di supporto domiciliare per bambini con meno di 3 anni di età affetti da gravi patologie croniche. Sono previsti diversi paletti però: l’agevolazione è destinata alle famiglie con almeno un figlio nato dopo il primo gennaio 2024, a condizione che nel nucleo sia presente almeno un altro figlio di meno di 10 anni e che l’Isee della famiglia non superi i 40 mila euro.
Un’altra misura a favore dell’occupazione femminile è la previsione nella legge di Bilancio di un secondo mese di congedo parentale con un’indennità pari al 60% dello stipendio (invece del 30%). Si potrà beneficiare dell’agevolazione nei primi sei anni di vita del figlio. La misura si aggiunge a quanto già previsto, ovvero un mese di congedo – su un totale di sei disponibili – all’80% per entrambi i genitori.