La crisi della carne rossa in Italia: dipendenza dall’estero al 60%, consumi in calo e costi in aumento. Ecco le soluzioni proposte
Il settore della carne rossa in Italia sta affrontando una fase estremamente complessa, caratterizzata da sfide economiche, sociali e ambientali. Da un lato, gli allevatori italiani continuano a sostenere costi elevati per mantenere le proprie attività, una condizione che si riflette direttamente sull’aumento dei prezzi al consumo.
Questo fenomeno, in un ciclo vizioso, provoca un rallentamento nei consumi, aggravando ulteriormente la situazione del mercato. Dall’altro lato, le difficoltà nel generare margini di guadagno, unite alle incertezze legate alle normative sulle emissioni previste dal Green Deal europeo, stanno frenando gli investimenti nel settore, aumentando la dipendenza dall’estero, soprattutto per l’importazione di vitelli.
Per la carne rossa l’Italia si affida al 60% all’estero
Nonostante un lieve miglioramento nella produzione interna durante la prima metà del 2024, con un aumento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2023, l’Italia rimane fortemente dipendente dalle importazioni per soddisfare la domanda interna di carne bovina.
Secondo i dati forniti da Ismea, il nostro paese importa circa il 60% del proprio fabbisogno di carne bovina, includendo sia animali vivi da ingrassare e macellare, sia carne già pronta proveniente dall’estero. Questo ha portato il tasso di autosufficienza a scendere al 40,3% nel 2023, il livello più basso registrato negli ultimi dieci anni. Un confronto con il passato evidenzia una regressione significativa: nel 2010 il rapporto era quasi invertito, con l’Italia che produceva il 60% del proprio fabbisogno. In meno di quindici anni, questa tendenza si è capovolta, accelerando dopo la pandemia di Covid-19.
I dati dell’Anagrafe nazionale zootecnica mostrano che tra il 2019 e il 2023 il numero di allevamenti bovini dedicati alla produzione di carne è diminuito di circa 15.000 unità, passando da 100.000 a 85.000 aziende. Questo declino ha portato a una riduzione del patrimonio bovino di oltre 73.000 capi. Nonostante ciò, l’Italia resta il terzo produttore di carne bovina in Europa, insieme alla Spagna, con una quota pari all’11% della produzione totale e un valore economico di 6,3 miliardi di euro.
Tuttavia, a differenza di altri paesi europei, il nostro tasso di autosufficienza è tra i più bassi dell’Unione Europea: mentre l’UE presenta un tasso medio del 103%, alcuni paesi come l’Irlanda raggiungono il 549%, la Francia il 139% e la Germania il 105%. Questa dipendenza dall’estero espone l’Italia a vulnerabilità significative, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento di animali vivi, che per l’85% provengono dalla Francia.
Secondo Fabio del Bravo, responsabile della Direzione filiera e analisi mercati di Ismea, questa situazione crea un deficit nella bilancia commerciale della carne rossa pari a 3,5 miliardi di euro, un dato negativo superato solo dal settore ittico. “La chiusura degli allevamenti è un problema grave, causato dall’aumento dei costi, dalla mancanza di attrattività per i giovani e dal mancato ricambio generazionale”, sottolinea del Bravo. Questo fenomeno contribuisce anche al declino economico e sociale di molte aree rurali, aggravando lo spopolamento e la desertificazione delle campagne italiane.
Secondo Assocarni, è necessario supportare il settore attraverso politiche mirate che incentivino gli allevatori. Serafino Cremonini, presidente dell’associazione, propone di finanziare iniziative per sviluppare la linea “vacca-vitello”, in particolare sfruttando le aree collinari e montane del sud Italia e trasferendo gli animali nelle stalle della Pianura Padana per l’ingrasso.
Questa strategia non solo ridurrebbe la dipendenza dalle importazioni di vitelli, ma valorizzerebbe anche le produzioni locali e le pratiche sostenibili, in linea con le politiche europee. Cremonini sottolinea l’importanza di sostenere chi alleva vacche nutrici, garantendo una remunerazione adeguata che renda il lavoro più attrattivo per le nuove generazioni. Una parte di questi obiettivi potrebbe essere raggiunta attraverso i contratti di filiera, finanziati dai fondi del Pnrr, che dovrebbero partire il prossimo anno.
Secondo un’indagine NielsenIQ, il 92% delle famiglie italiane acquista regolarmente carne bovina, privilegiando i prodotti di origine nazionale. Tuttavia, nei primi otto mesi del 2024, le vendite di carne sono diminuite, ad eccezione di quelle di pollo. I consumi di carne bovina hanno registrato un calo del 2,2% in termini di volume, accompagnato da una riduzione della spesa dello 0,9% e da un aumento del prezzo medio dell’1,4%.
Negli ultimi cinque anni, nonostante la crescente popolarità delle diete proteiche, i consumi di carne rossa sono rimasti stabili o in lieve declino, mentre le carni bianche, i salumi, le uova e i formaggi hanno visto un aumento della domanda.
Il problema principale è l’aumento dei prezzi: dal 2019, il costo della carne rossa è aumentato di oltre il 20%, rendendola meno accessibile per molte famiglie. In un contesto di inflazione e diminuzione del potere d’acquisto, i consumatori tendono a scegliere tagli più economici o a sostituire la carne con proteine vegetali. Un’indagine condotta da NielsenIQ per Unione Italiana Food ha rilevato che sette famiglie su dieci consumano regolarmente prodotti plant-based, un trend che riflette sia preoccupazioni salutistiche sia un’attenzione crescente all’impatto ambientale degli allevamenti intensivi.
Le politiche europee per la riduzione delle emissioni di gas serra, parte del Green Deal, rappresentano un’altra sfida significativa per il settore. “Il consumatore è sempre più attento alla sostenibilità e al benessere animale”, spiega Cremonini. “Il nostro modello produttivo è un’eccellenza in Europa, e siamo sicuri che la carne italiana avrà sempre più spazio rispetto a quella importata”. Tuttavia, Cremonini critica le normative europee che spesso penalizzano ingiustamente gli allevamenti italiani, equiparandoli a realtà industriali che operano in condizioni molto diverse.
In Italia, il 41% del territorio è collinare, il 35% montano e solo il 23% pianeggiante. Questo rende gli allevamenti italiani un modello unico, fortemente legato al territorio e meno impattante rispetto agli standard europei. Nonostante ciò, gli allevatori italiani sono stati spesso criminalizzati per il loro contributo alle emissioni di gas serra, nonostante l’intero settore agricolo sia responsabile di meno dell’8% delle emissioni totali.
Il futuro del settore della carne rossa in Italia dipenderà dalla capacità di affrontare queste sfide in modo innovativo e sostenibile. Investire in pratiche produttive rispettose dell’ambiente, supportare gli allevatori con politiche mirate e promuovere i prodotti di origine nazionale saranno passi fondamentali per garantire la competitività del settore. Allo stesso tempo, sarà necessario educare i consumatori sull’importanza della carne di qualità, prodotta in modo etico e sostenibile. La carne rossa italiana ha un enorme potenziale, ma per valorizzarlo appieno sarà indispensabile un impegno congiunto da parte di tutti gli attori della filiera.