Abdulrazak Gurnah è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura 2021. Tra le motivazioni che hanno portato il romanziere tanzano alla vittoria, si sottolinea “la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti”.
Gurnah ha iniziato a scrivere a 21 anni mentre si trovava in esilio come rifugiato. Sebbene lo swahili fosse la sua prima lingua, l’inglese è diventato il mezzo con cui ha espresso la sua letteratura.
Abdulrazak Gurnah ha pubblicato dieci romanzi e una serie di racconti. Il tema del disfacimento del rifugiato percorre tutto il suo lavoro. Nelle sue opere emerge anche una estrema dedizione alla verità e un’avversione personale alla semplificazione. I suoi romanzi rifuggono dalle descrizioni stereotipate e aprono il nostro sguardo su un’Africa orientale culturalmente diversificata, sconosciuta a molti. Abdulrazak Gurnah nelle sue opere rompe consapevolmente con le convenzioni, capovolgendo la prospettiva coloniale per evidenziare quella delle popolazioni indigene.
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Il suo romanzo d’esordio, Memory of Departure, del 1987, parla di una rivolta fallita nel continente africano. Il giovane protagonista tenta di disimpegnarsi dalla rovina sociale della costa, sperando di essere preso sotto l’ala protettrice di uno zio benestante a Nairobi. Invece viene umiliato e restituito alla sua famiglia distrutta, con un padre alcolizzato e violento e una sorella costretta a prostituirsi. La nostalgia e la memoria dei luoghi che lo scrittore ha lasciato riempie le pagine di questo romanzo di formazione, di crescita e di verità.
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Ambientato alla vigilia della prima guerra mondiale, Paradise segue il viaggio di Yusuf, un ragazzino keniota di 11 anni, venduto dal padre a un ricco mercante. I due partiranno per un lungo viaggio all’interno del continente africano, dove conosceranno guerra, fame e violenza. Il romanzo ha un ovvio riferimento a Joseph Conrad nella sua rappresentazione del viaggio del giovane eroe innocente Yusuf nel cuore delle tenebre. Il quarto romanzo del premio letterario 2021 Abdulrazak Gurnah, Paradise, incorona la sua svolta come scrittore, prendendo spunto da un viaggio di ricerca in Africa orientale intorno al 1990. È un racconto di formazione e una triste storia d’amore in cui mondi e sistemi di credenze diversi arrivano a scontrarsi.
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I personaggi itineranti di Gurnah si trovano in una pausa tra culture e continenti, tra una vita che era e una vita emergente. Uno stato insicuro che non potrà mai essere risolto. Troviamo una nuova versione di questa pausa anche nel settimo romanzo di Gurnah, Desertion. Nell’opera viene impiegata una tragica passione per illuminare le vaste differenze culturali nell’Africa orientale colonizzata. Nel romanzo, ambientato all’inizio del XX secolo, Gurnah segue le vicende dell’inglese Martin Pearce, svenuto per strada, che viene aiutato da un mercante locale e portato attraverso i labirinti della città in un mondo in cui la cultura e la religione sono aliene. Come molte altre opere del premio Nobel, Desertion è una storia che al suo interno ne contiene molte altre, le quali non ci appartengono ma fanno parte delle correnti casuali del nostro tempo. Storie che, al tempo stesso, sono capaci di catturarci e imprigionarci per sempre.
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By the Sea segue un altro dramma di delusione e autoinganno. Saleh, il narratore della prima parte, è un vecchio musulmano di Zanzibar che chiede asilo in Inghilterra con un visto contraffatto in nome di un acerrimo nemico. Qui incontra il figlio del nemico, Latif, delegato per coincidenza ad aiutare Saleh ad adattarsi al suo nuovo paese d’origine. Nei loro accesi litigi, il passato represso di Saleh a Zanzibar si impenna dentro di lui. Ma dove Saleh nonostante tutto cerca di ricordare, Latif fa di tutto per dimenticare. Gurnah crea una tensione peculiare nel romanzo, in cui la scelta di due narratori dissolve il percorso e la direzione tracciati dalla finzione, nonché l’autorità e la percezione di sé dei narratori.
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L’ultimo romanzo di Gurnah, Afterlives, riprende dove finisce Paradise. E come in quell’opera, l’ambientazione è l’inizio del XX secolo, un periodo prima della fine della colonizzazione tedesca dell’Africa orientale.
Hamza, un giovane che ricorda Yusuf in Paradise, è costretto a fare la guerra ai tedeschi e diventa dipendente da un ufficiale che lo sfrutta sessualmente. Ferito in uno scontro interno tra soldati tedeschi, viene lasciato in cura in un ospedale da campo. Ma quando torna al suo paese natale sulla costa, non trova né famiglia né amici. I venti capricciosi della storia dominano e come in Desertion seguiamo la trama attraverso diverse generazioni, fino al piano non realizzato dei nazisti per la ricolonizzazione dell’Africa orientale. L’epilogo è scioccante e tanto inaspettato quanto allarmante. Ma di fatto lo stesso pensiero ricorre costantemente nel libro: l’individuo è indifeso se l’ideologia regnante – in questo caso, il razzismo – esige sottomissione e sacrificio.