La Corte d’Assise di Brescia ha assolto Antonio Gozzini, l’80enne che un anno fa uccise la moglie Cristina Maioli (un ex docente in pensione) perché incapace di intendere e volere a causa di un totale vizio di mente per un “delirio di gelosia”. La difesa dell’uomo, che non era presente in aula, aveva chiesto l’assoluzione ritenendo l’imputato incapace di intendere e volere al momento dell’omicidio. Il pubblico ministero Claudia Passalacqua, invece, aveva chiesto l’ergastolo.
La ricostruzione dell’omicidio
L’omicidio risale al 4 ottobre 2019. In piena notte, Gozzini uccise la moglie del sonno, prima colpendola in testa con un mattarello e poi accoltellandola alla gola. In seguito tentò di suicidarsi tagliandosi le vene e ingerendo degli antidepressivi. Il giorno successivo rimase in casa in attesa delle forze dell’ordine, avvertite da lui stesso in un momento di lucidità. Dopo averlo arrestato, i poliziotti lo condussero in ospedale per le medicazioni ai polsi e in seguito in questura, dove lo interrogarono. Gozzini, che da anni soffriva di depressione, non era mai stato violento con la moglie in precedenza. I vicini parlavano di una coppia tranquilla e riservata, che non aveva mai creato problemi in più di dieci anni.
Il commento della difesa
Jacopo Barellotti, il legale di Antonio Gozzini, ha espresso la propria soddisfazione nei confronti del verdetto che ha stabilito la condizione di “delirio di gelosia”. “Siamo soddisfatti, perché la sentenza rispecchia quanto emerso nel dibattimento e cioè che il mio assistito non era capace di intendere e di volere”, ha dichiarato. “È una sentenza che io ritengo giusta e anche l’unica possibile, all’esito di un processo nel quale questo aspetto di incapacità di intendere e di volere è stato vagliato con molto scrupolo”, ha spiegato il legale ad Adnkronos. “Si è compresa esattamente la patologia che affligge Gozzini. Ovviamente, nel corso delle indagini era stata fatta una consulenza tecnico-psichiatrica e tanto il consulente del pm quanto quello della pubblica difesa avevano concluso l’incapacità totale di intendere e di volere del mio assistito”, ha concluso Barellotti.