23 novembre 1980, ore 19.34. In un minuto e mezzo la vita di centinaia di migliaia di persone, abitanti soprattutto di piccoli centri montani, cambiò per sempre. Un terremoto violentissimo, di magnitudo 6.9, colpì al cuore l’Irpinia in particolare, ma anche le province di Salerno, Benevento, Caserta, Napoli, Potenza, Matera e Foggia. Si fece sentire, anche molto forte, in tutto il resto del Sud Italia. Persino nella lontana Pianura Padana ci furono testimonianze di persone che avevano avvertito la scossa. Le vittime, in totale, furono circa 3mila. Quasi 9mila i feriti, oltre 300mila gli sfollati.
Una tragedia immane, una ferita aperta aperta ancor oggi non solo per le conseguenze immediate e una macchina dei soccorsi volenterosa ma non organizzata, ma anche per quel che è successo nei quarant’anni successivi. Dalla ricostruzione che non ha ancora avuto il suo definitivo compimento alla riqualificazione dell’area spesso vittima di speculazioni, solo adesso la zona sta riprendendo vigore. Grazie soprattutto all’impegno delle nuove generazioni.
Decine di paesi spazzati via, macchina dei soccorsi imprecisa
Il sisma ebbe come epicentro i comuni di Teora, Conza della Campania e Castelnuovo di Conza. I primi due in provincia di Avellino, il terzo in quella di Salerno. Secondo i dati riferiti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita dalla legge 128/1989, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro e attiva fino al 5 febbraio 1991, data della relazione finale sull’attuazione degli interventi di ricostruzione, furono 687 i comuni colpiti dal terremoto. 542 di questi in Campania, 131 in Basilicata, 14 in Puglia. 37, complessivamente, i comuni ‘disastrati’, 314 ‘gravemente danneggiati’, 336 ‘danneggiati’. Secondo i dati Istat dell’epoca, l’8,5% dei comuni di tutta l’Italia subì danni a causa della scossa principale e di quelle secondarie, che andarono avanti sino a parte del 1981.
I tre paesi più vicini all’epicentro furono letteralmente spazzati via dal sisma. Subirono la stessa tremenda sorte cittadine come Laviano, Calabritto, San Mango Sul Calore, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Senerchia e la stessa Avellino, tutte con indice del danno uguale o superiore a 90/100. Per lo Stato fu un’emergenza senza precedenti. I soccorsi si dimostrarono tardivi se non insufficienti, nonostante il grande sforzo dei volontari, anche a causa di un coordinamento carente e dell’impossibilità da parte dei comuni colpiti di fornire informazioni precise. Resta emblematica la prima pagina de Il Mattino di Napoli a tre giorni di distanza dal sisma: “Fate Presto”. Un titolo che ancor oggi mette i brividi, che fa riecheggiare ricordi terribili.
La ‘chiamata alle armi’ del Presidente Pertini
Proprio nell’immediato dopo-sisma, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini fece visita alle zone più colpite. Da lì, quasi con rabbia, lanciò un vero e proprio grido di allarme. Un monito, quasi una chiamata alle armi, che diede spinta ad un avvio più coordinato e preciso della macchina dei soccorsi, guidata dal commissario straordinario Giuseppe Zamberletti.
Quell’esperienza fu il fondamento principale della nascita della Protezione civile, la moderna struttura attiva a livello di Stato, Regioni ed Enti locali per far fronte ad emergenze di varia natura nel miglior modo possibile.
Le zone del terremoto a 40 anni di distanza
Sono passati quarant’anni dal terremoto dell’Irpinia ma la ricostruzione non è ancora completa al cento per cento. Dalla lentezza, a dir poco esasperante, della ricostruzione delle case alle numerose inchieste per lo sciacallaggio politico ed economico dei territori più colpiti, con persone capaci di allungare le mani sulle risorse stanziate dallo Stato (la Commissione parlamentare d’inchiesta parlò di 50mila miliardi di lire, attualizzando la cifra si arriverebbe a quasi 70 miliardi di euro). Fino ad arrivare al promesso sviluppo industriale delle aree che dopo una partenza promettente è rimasto confinato a poche ‘isole’ che non hanno evitato la forte emigrazione verso le grandi città del Centro-Nord. Uno degli atavici problemi della zona.
La speranza arriva dai più giovani
Eppure il seme della speranza, in quelle terre dalle cicatrici così profonde, ha ripreso a germogliare. Il tutto grazie alle nuove generazioni, che hanno raccolto l’esperienza di chi ha vissuto e perso tutto in quella tragedia, con l’intenzione di trasformarla in ‘benzina’ per tornare a vivere e produrre. Dalla rinascita dell’agricoltura (l’Irpinia è storicamente una terra di grandi vini) alla specializzazione in alcuni settori industriali (l’azienda che produce gli ultra-congelatori adatti a conservare il vaccino anti-Covid di Pfizer si trova a Nusco, a pochi chilometri da Lioni), passando per le reti associative sempre più fitte guidate da giovani realtà che promuovono il territorio. La strada da percorrere è ancora lunga. L’intenzione, però, è ferma: far sì che Irpinia non sia più ‘sinonimo’ di terremoto.