Il Sudan continua a vivere ore di profonda tensione.
Per il terzo giorno consecutivo, proseguono gli scontri armati tra l’esercito regolare e le Forze di supporto rapido (Rsf) a Khartoum, dove la popolazione è sprofondata in uno stato di terrore.
Si contano già almeno 97 vittime e ingenti danni a numerose strutture, incluse alcune basi paramilitari, prese d’assalto.
In Darfur si è rilevata anche la morte di tre operatori ONU e lo spazio aereo è stato chiuso, mentre i corridori umanitari sono completamente esposti a spari continui.
Una situazione molto grave e che ha spinto diversi leader nel Mondo a chiedere una tregua immediata alle due fazioni coinvolte negli scontri.
La situazione
L’esercito regolare e le Forze di supporto rapido si erano già affrontate in occasione del colpo di stato avvenuto in Sudan nel 2021, ma nelle ultime ore la tensione tra le due fazioni è tornata a crescere sensibilmente, portando a nuovi pesanti scontri.
Continui colpi di artiglieria e forti esplosioni a Khartoum, dove inizia a scarseggiare l’acqua e a mancare l’elettricità.
La guerriglia sta coinvolgendo, però, anche la zona del Darfur, dove sono stati uccisi tre operatori umanitari del Pam-Wfp, il programma alimentare mondiale dell’ONU.
Le Rsf hanno fatto sapere attraverso un messaggio pubblicato sui social di essere state attaccate da “aerei stranieri” a Port Sudan, ma di essere anche riuscite ad abbattere un aereo Sukhoi e di aver occupato diverse strutture militari in Darfur, mentre l’esercito regolare sudanese afferma di aver preso il pieno controllo della più grande base delle Rsf a Karari.
Il tenente generale Muhammad Hamdan Dagalo (detto Hemedti) ha dichiarato a Sky News Arabia che i paramilitari controllano “il 90% delle aree militari in Sudan”, mentre il suo rivale, ovvero il generale Abdel-Fattah Al-Burhan (a capo delle forze armate del Sudan), “si nasconde sotto terra”.
Una guerriglia feroce e che non sta permettendo ai corridoi umanitari di prestare le giuste cure ai feriti, tanto che la conta delle vittime in poche ore di scontri è già salita a 97 morti e quella dei feriti a diverse decine.
Coinvolti sia civili che militari, con molte persone che non hanno potuto raggiungere gli ospedali a causa degli spari continui e delle grandi difficoltà negli spostamenti sul territorio martoriato dalle continue esplosioni.
Le cause degli scontri
Nei giorni scorsi in Sudan si sarebbe dovuto firmare un accordo che avrebbe dato inizio a un processo politico per riportare i civili al potere nel Paese nordafricano, firma che però è stata rinviata continuamente per disaccordi tra l’esercito regolare (guidato da Al-Burhan) e le Forze di supporto rapido (guidate da Hemedti).
Nonostante i due capi militari si fossero uniti nel colpo di stato che nel 2021 portò all’arresto di Omar al-Bashir, negli ultimi mesi Hemedti ha deciso di iniziare a criticare aspramente quel cambio di potere e di schierarsi con i civili, andando così contro l’esercito regolare nelle trattative politiche.
Una mossa che ha fatto crescere le tensioni interne alla Nazione e contribuito ad alimentare una profonda crisi già esistente da anni in Sudan.
I motivi di questo cambio di fazione risiederebbero principalmente nelle divergenze esistenti tra i due capi militari circa il futuro dei paramilitari.
Quest’ultimi, guidati da Hemedti, sarebbero dovuti infatti entrare a far parte dell’esercito regolare, ovvero di quell’istituzione che in Sudan detiene sia il potere politico che quello economico.
Ciò però non è mai avvenuto, con l’esercito che desidera imporre le proprie condizioni di ammissione alle Rsf. Una prova di forza che non è piaciuta a Hemedti, alla ricerca di un ruolo centrale nelle posizioni di potere.
Come se ciò non bastasse, poi, i Comitati di resistenza continuano a rifiutare qualsiasi accordo con i soldati autori del golpe, manifestando contro l’attuale regime di Al-Burhan.
Le preoccupazioni dei leader mondiali
Ciò che sta accadendo in queste ore in Sudan non lascia tranquilli molti leader mondiali, i quali hanno deciso di lanciare immediatamente i propri appelli di pace.
Uno dei primi è stato Papa Francesco, il quale ha chiesto che le armi vengano deposte e che a prevalere sia un’azione di dialogo tra le parti.
L’obiettivo deve essere quello di percorrere insieme “il cammino della pace e della concordia”.
Una linea sposata anche dal Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che si è pronunciato così a margine del vertice del G7 Esteri a Karuizawa, in Giappone:
“Solo un cessate il fuoco immediato con la ripresa dei negoziati potrà consentire di giungere a un accordo politico inclusivo per la formazione di un governo civile di transizione che porti il Sudan a elezioni democratiche”.
A chiedere una tregua sul campo di battaglia è stato anche il Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, seguito dai Ministri degli Esteri dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, rispettivamente Faisal bin Fargan e Abdullah bin Zeid Al Nahyan.
Questa la dichiarazione del Dipartimento di Stato degli USA:
“Abbiamo convenuto che le parti devono cessare immediatamente le ostilità senza precondizioni. Esorto il generale Abdel Fattah Burhan e il generale Mohammed Daglo ad adottare misure attive per ridurre le tensioni e garantire la sicurezza di tutti i civili”.
Immancabile, infine, anche la condanna arrivata da parte del Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il quale ha chiesto giustizia per l’uccisione dei tre operatori umanitari dell’ONU in Darfur.