Dopo la strage di Mosca si torna a parlare di jihad militante. Che differenza c’è tra il cosiddetto Stato Islamico, l’Isis-K e i talebani?
Il presidente russo Vladimir Putin, nel suo primo discorso in tv sull’attacco terroristico del 22 marzo, a menzionare il radicalismo islamico e l’Isis e non l’Ucraina come responsabile.
Non ci sono dubbi anche per lui che siano stati i membri di un’ala dello Stato islamico e non il vicino invaso due anni fa, a uccidere almeno 150 persone al Crocus City Hall a Mosca.
Putin, sapendo che la strage ha messo in dubbio la sua immagine di forza e sicurezza e dovendo affrontare le critiche per la lentezza della risposta, ha tentato in ogni caso di attribuire la colpa all’Ucraina e ai suoi amici, lasciando intendere che i terroristi del cosiddetto Isis-Khorasan (o Isis-K) avrebbero avuto appoggi, o incitamento, dal fronte euro-atlantista.
“Se il Cremlino vuole un legame tra il Crocus e Kyiv, è possibile che il legame lo trovi, perché da anni l’Isis passa attraverso l’Ucraina, così come accade in altri paesi” commenta su X il giornalista Luigi Di Base de Il Manifesto, esperto di questioni russe.
Dopo un picco raggiunto l’anno successivo, l’Isis ha iniziato a sgretolarsi, grazie anche ai colpi della campagna militare condotta dagli Stati Uniti e dai loro alleati locali, soprattutto i combattenti curdi siriani oppositori del regime filo-russo di Bashar al-Assad.
Nel 2019 finisce ucciso in un raid statuintense Abu Bakr al-Baghdad, il leader dell’organizzazione, e il califfato si può dire crollato. La perdita della sua forma statualizzata non ha fermato l’Isis, e le sue transnazionali hanno continuato con gli attacchi terroristici, negli anni successivi, e in un gioco di scambi e rivalità con le sue correnti ribelli.
La filiale dell’Isis che ha rivendicato la strage di Mosca, l’Isis-K, è emersa a seguito di una scissione del 2015 all’interno dei talebani: alcuni membri del suo ramo pakistano si erano convinti che i leader talebani non stessero seguendo fedelmente la Sharia e hanno giurato fedeltà all’Isis.
Le notizie che giungono da fonti di intelligence sulla formazione terroristica sono frammentarie e a volte contraddittorie: non è mai stata pienamente chiarita ad esempio l’esatta natura dei rapporti con lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e ambigue sono le relazioni con i talebani, sulla carta loro nemici giurati.
Secondo l’Onu, l’Isis-Khorasan conta 2.200 miliziani armati concentrati nella provincia montana di Kunar, al confine con il Pakistan. Un contingente composito, dove trovano spazio militanti pashtun pakistani fuggiti dal loro Paese, disertori afghani, estremisti uzbeki e, in numero più limitato, reduci arabi di quello che fu lo Stato islamico siro-iracheno.
Le comunicazioni con le altre filiali del califfato nero, si legge in un’analisi scritta da Thomas Parker per il Washington Institute, sono ormai limitate a messaggi via cellulare e i finanziamenti ridotti a un piccolo rivolo. Più di un analista aveva però affermato che un ritorno dei talebani al potere avrebbe offerto ai terroristi una chance di rialzare la testa.
Sia il reclutamento che le operazioni di questo gruppo hanno coinvolto l’Asia Centrale (parti della quale costituiscono la regione storica del Khorasan) e in particolare l’Afghanistan e Uzbekistan, ma anche parti del Caucaso settentrionale, prevalentemente musulmano, come la Cecenia, il Daghestan e l’Inguscezia.
È un gruppo sconosciuto ai più, che solo due mesi fa, lo stesso gruppo ha rivendicato l’attentato a Kerman, in Iran, nei pressi del cimitero dov’è sepolto il generale Qasem Soleimani, in cui sono state uccise un centinaio di persone.
L’attacco del 22 marzo non è il primo condotto dall’Isis-K che ha colpito la Russia: va ricordata la bomba che nell’ottobre 2015 esplose a bordo di un aereo russo che volava sulla penisola del Sinai in Egitto, che uccise tutti i 234 occupanti; l’esplosione di una bomba nel 2017 nella metropolitana di San Pietroburgo (14 morti); l’attentato nello stesso anno in un supermercato di San Pietroburgo (14 morti) l’attentato suicida nel settembre 2022 presso l’ambasciata russa a Kabul; e vari attacchi nel Caucaso.
L’Isis-K oggi colpisce la Russia per aiutare l’Ucraina? Non è così. La Russia, agli occhi degli jihadisti, è colpevole dei bombardamenti aerei in Siria a partire dal 2015, iniziati per impedire la caduta di Bashar al-Assad, un alawita di educazione socialisteggiante considerato un eretico da Daesh. E, tornando più indietro nel tempo, la Russia è pur sempre l’erede dell’Unione Sovietica che ha occupato l’Afghanistan negli anni Ottanta uccidendo centinaia di migliaia di afgani, non troppo tempo prima delle Torri Gemelle.
Infine, il governo di Putin ha combattuto il jihadismo militante in Siria e considera i talebani un gruppo terrorista. Eppure, con questi ultimi ha cercato negli ultimi anni relazioni diplomatiche ed economiche sempre più strette (specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina).
A questo punto ritorna la faida tra i talebani e l’Isis-K, che accusa i primi di essersi venduti l’anima al nemico giurato, massacratore, tra l’altro, dei ceceni musulmani durante le guerre secessioniste degli anni Novanta e Duemila.
Anche per questo, l’Isis-K ha compiuto diversi attacchi terroristici all’interno dell’Afghanistan, tra cui uno a Kandahar il giorno prima dell’attacco al concerto a Mosca.
In quanto all’Iran, il fatto che fornisca alla Russia innumerevoli droni, proiettili d’artiglieria e missili per colpire l’Ucraina, lo rende agli occhi dei fanatici un governo apostata e traditore, meritevole di essere colpito senza fare troppe distinzioni con gli occidentali.
Se l’opinione pubblica occidentale è convinta che la jihad militante sia rivolta unicamente alla sua società, farebbe meglio ad allargare lo sguardo. In Ucraina, per l’Isis-K, gli Stati Uniti sono accusati di usare la nazione europea come un suo fantoccio.
Ma se l’America è stata “un feroce nemico dell’Islam per tutto il secolo scorso”, si legge nella rivista del gruppo terrorista – sì, esiste anche quella – “la Russia non ha dimostrato di essere diversa”.