Ci sono alcune piattaforme social e app di messaggistica che comunicano alle autorità un maggior numero di dati dei propri utenti (anche in tempo reale) rispetto ad altre. Lo rivela la rivista Rolling Stone, che è entrata in possesso di un documento interno del Federal Bureau of Investigation statunitense, l’Fbi.
Il documento dell’Fbi sui dati dei social network
L’atto, datato 7 gennaio 2021, è una sorta di report (clicca qui per leggerlo) che l’agenzia d’intelligence governativa ha stilato in merito alla quantità e alla tipologia di informazioni che le forze dell’ordine hanno potuto ottenere da questi social network a partire dal 20 novembre 2020.
In particolare sono prese in considerazione le principali app di messaggistica come WhatsApp, iMessage, Telegram, WeChat, Viber, Line, Signal, Threema e Wickr. E dall’analisi dei federali Usa emerge che WhatsApp e iMessage sono le piattaforme che garantiscono la maggior quantità di dati a fini investigativi.
Da Whatsapp mittente e destinatario in 15 minuti
WhatsApp, ad esempio, può inviare all’Fbi mittente e destinatario di ogni messaggio ogni 15 minuti circa. Ma permette anche – previa richiesta formale del Bureau – un accesso parziale al contenuto dei testi. Vale la pena ricordare che il documento è datato gennaio 2021, prima cioè dell’introduzione (a metà ottobre) dei backup criptati end-to-end da parte dell’app. Pertanto lo scenario attuale dovrebbe essere differente.
Accesso vietato su Telegram: solo indirizzi IP
Le autorità Usa hanno un accesso parziale ai messaggi delle chat anche di iMessage e Line, secondo il report, ma non degli altri social. Telegram, come noto, non comunica né i contenuti delle chat né informazioni personali degli utenti. Un livello di privacy massimo, che spesso per alcuni utenti si trasforma in zona franca, come accaduto anche in Italia. L’Fbi, comunque, può ottenere da Telegram l’indirizzo IP di un sospettato.
Apple, iMessage e i backup dei messaggi su iCloud
Infine, per quanto riguarda iMessage, con un regolare mandato di perquisizione i federali possono avere da Apple le chiavi di crittografia di iCloud, accedendo così anche al contenuto delle chat di un utente. Allo stesso modo, possono accedere anche ai messaggi di WhatsApp, in quanto gli iPhone eseguono un backup di questi sempre sulla nuvola della Mela.