Perquisizioni oggi da parte dei carabinieri del Ros nella sede della onlus Africa Milele, a Fano (Pesaro e Urbino) nell’inchiesta a carico di ignoti, sul sequestro di Silvia Romano. Da quanto si apprende, la Procura di Roma ha acquisito la documentazione relativa alle attività della associazione e materiale informatico, copiando i dati di alcuni hard disk e il contenuto dei telefoni. Si tratta di un controllo anche per verificare le condizioni di sicurezza in cui si trovava la giovane cooperante al momento del rapimento, avvenuto in Kenya il 20 novembre 2018. La famiglia Romano aveva infatti rotto da tempo il legame con l’associazione, accusandola di aver mandato “allo sbaraglio” la ragazza.
La responsabile della onlus e quei sospetti sui rapitori di Silvia Romano
Lilian Sora, la responsabile della onlus, aveva rivelato qualche giorno fa di sospettare che “alcuni componenti del commando abbiano dormito vicino alla nostra casa di Chakama, in Kenya, prima del rapimento”. Sora si è però poi difesa negli scorsi giorni rivendicando come la volontaria 24enne “non sia stata mandata da sola a Chakama: era partita con due volontari e ad aspettarli c’era il mio compagno con un altro addetto alla sicurezza, entrambi Masai”.
Negli ultimi giorni Silvia Romano, tornata in Italia il 10 maggio dopo un sequestro durato 18 mesi, è stata travolta dalle critiche per aver abbracciato la religione islamica, subendo un’ondata di odio anche sui social. “Non arrabbiatevi per difendermi, il peggio è passato”, aveva commentato la giovane, ringraziando tutti coloro che le sono stati di supporto e raccontando le prime sensazioni provate al rientro. In quei pensieri l’ombra del disagio provato nel ricevere tanti commenti offensivi, a cominciare dall’abito tradizionale somalo che indossava quando è tornata a casa: “Non vedevo l’ora di scendere da quell’aereo perché per me contava solo riabbracciare le persone più importanti della mia vita, sentire ancora il loro calore e dirgli quanto le amassi, nonostante il mio vestito”.