Nelle scorse settimane aveva fatto parecchio discutere una lettera inviata dal Sindacato Autonomo di Polizia (Sap) al Capo della polizia e al Ministro dell’Interno. Nella missiva veniva espressa la ferma intenzione di non indossare le mascherine FFP2 ricevute in dotazione, perché di un colore che “risulta eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine dell’Istituzione”. Il colore in questione, come facilmente intuibile, è il rosa. Sui social il rifiuto di utilizzare queste mascherine aveva sollevato polemiche di ogni tipo e aveva riportato in auge un’annosa questione: il rosa è un colore femminile o non dovrebbe essere associato a uno specifico genere? Per trovare una risposta è necessario tornare indietro nel tempo e scoprire com’è cambiata la percezione di alcuni colori nel corso dei decenni.
La percezione del rosa come di un colore fortemente associato alla femminilità è piuttosto recente. Per molto tempo non ha rappresentato alcun genere ed è stato indossato indifferentemente da uomini e donne. Nel diciottesimo secolo, per esempio, non era raro imbattersi in un gentiluomo vestito di rosa. Risalgono a quel periodo anche alcuni quadri raffiguranti dei bambini che indossavano abiti di quel colore. All’epoca il rosa era un simbolo di passione e mascolinità. Ricordava il rosso, ma si allontanava dall’accezione “bellicosa” associata a quest’ultimo colore. I più piccoli, fino ai sei anni di età, indossavano degli abiti bianchi per ragioni pratiche (erano più semplici da lavare).
Solo nel corso del diciannovesimo secolo il rosa e il blu entrarono a far parte dei colori tipici dell’abbigliamento per bambini, ma con accezioni diverse da quelle attuali. Per la già menzionata vicinanza al rosso, il rosa era ritenuto un colore virile e più adatto ai maschi. Il blu, invece, era considerato delicato e femminile. Inoltre, era anche associato al velo indossato dalla Vergine Maria nelle opere d’arte che la rappresentavano. Queste informazioni erano riportate anche in alcune riviste dell’epoca, tra cui Earnshaw’s Infants’ Department, un magazine specializzato in vestiti per bambini. Anche secondo un articolo del Time del 1927 i produttori di vestiti statunitensi ritenevano il rosa maschile e il blu femminile.
Tuttavia negli anni successivi le cose cambiarono. In un primo momento il rosa e il blu iniziarono a essere usati indifferentemente dai maschi e dalle femmine, ma negli anni ’50 venne adottata la convenzione in uso ancora oggi: rosa per le bambine e blu per i bambini. Si trattò di una scelta del tutto arbitraria, che negli anni successivi fu rafforzata dall’abitudine e da varie strategie di marketing. Durante gli anni ’60 e ’70 il Movimento di Liberazione delle Donne cercò di battersi contro questa differenziazione, promuovendo l’uso di colori neutri non associati ad alcun genere. La lotta non diede i risultati sperati.
Negli anni ottanta l’idea di associare il rosa alle femmine e il blu ai maschi diventò ancora più radicata nella cultura popolare, a causa soprattutto della scomparsa dei vestiti unisex per i più piccoli. In quegli anni, inoltre, anche altri stereotipi di genere si intensificarono, come l’abitudine a far giocare i bambini con i soldatini e le bambine con le bambole. Anche la diffusione della diagnosi prenatale diede un’importante spinta al fenomeno, consentendo ai genitori di scoprire in anticipo il sesso del nascituro e aprendo la strada a nuove strategie di marketing, legate agli acquisiti da fare prima della nascita di un figlio.
Solo negli ultimi anni si è iniziata a mettere in discussione l’abitudine a ritenere il rosa un colore femminile. Scardinare una consuetudine non è mai un processo breve, ma le nuove generazioni sembrano più aperte mentalmente sotto questo punto di vista. Vedere un uomo vestito di rosa desta sempre meno scalpore e forse in futuro non troppo lontano verrà considerato perfettamente normale da tutti. Dopotutto la preferenza per un colore o per l’altro non è innata, ma influenzata dal contesto sociale in cui si vive, come hanno dimostrato alcuni studi condotti sull’argomento. Per esempio, una ricerca condotta sugli Himba in Namibia ha smentito la convinzione che la preferenza per il rosa sia innata tra le donne.
È importante ricordare che tutte le convenzioni, anche le più radicate, possono cambiare nel corso del tempo.
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