Il suo è uno dei nomi simbolo del boom economico italiano, dagli anni ’60 fino agli anni ’90 inoltrati. Poi, una volta raggiunto il picco, l’inesorabile declino. Una parabola facilmente riassumibile dal marchio della sua azienda, entrata almeno una volta nelle case di ogni famiglia italiana: Mivar. Il cui proprietario, Carlo Vichi, si è spento ieri all’età di 98 anni.
La storia di Carlo Vichi e della Mivar
Milanese solo d’adozione, in realtà Carlo Vichi era nato a Montieri, in provincia di Grosseto. Nel capoluogo lombardo era arrivato a sette anni al seguito del padre, che lavorava come metronotte. E già a 22 anni fondò la Var, Vichi Apparecchi Radio. Inizialmente destinata a riparare valvole e appunto radio, la crescita del dopoguerra lo indusse ad apporre come prefisso la sigla della città. E quindi, dal 1968, ecco la Mivar.
Abile a leggere l’andamento del mercato e delle esigenze della cittadinanza, Carlo Vichi passò ben presto dalle radio ai televisori, senza ovviamente cambiare il marchio che già lo aveva reso celebre. E così dal nuovo impianto di Abbiategrasso uscirono via via sempre più numerosi quegli apparecchi che ogni famiglia voleva per il proprio svago quotidiano e serale. E che, sempre più spesso, erano proprio della Mivar.
La strategia aziendale di Carlo Vichi pagò ben presto. L’idea fu quella di vendere impianti tv a prezzi bassi, con una rete di assistenza capillare ed estremamente efficiente sul territorio, con spese molto basse. Il risultato fu che nel 1988 il 12% di tutti i televisori venduti in Italia erano Mivar. Il picco nel 1999, con 950 mila apparecchi costruiti e il 35% della quota di mercato.
Il declino nel nuovo millennio e le polemiche politiche
A partire dagli anni 2000, però, l’esplosione degli schermi piatti e una concorrenza sempre più difficile da contrastare determinarono il crollo sempre più inarrestabile dell’azienda. Mivar passò al contrattacco nel 2004, ma senza riuscire a riprendersi quel mercato che solo cinque anni di fatto dominava. Fino al tentativo di cedere l’azienda agli “imprenditori asiatici“ nel 2014. Un appello generico e andato a vuoto, e che rivela un altro aspetto non indifferente di Carlo Vichi. Uomo (letteralmente) di un altro secolo, l’imprenditore aveva simpatie di estrema destra, malsopportava i progressi della società e contestava l’operato dei sindacati. Addirittura nel 2019 pagò di sua tasca il restauro al Monumento dei Caduti Fascisti al Cimitero Monumentale di Milano.
“In fabbrica si dice sissignore, come nell’Esercito. Nessuno può venire a comandare in casa mia“, ebbe a dire. Questo era Carlo Vichi, discusso come figura quanto indiscutibile come imprenditore. L’uomo che con la sua Mivar fece scoprire la tv di massa all’Italia.