Per alcuni ‘Ilda la Rossa’ è stata un’avversaria politica. Per altri il simbolo della lotta contro il potere mafioso in Italia, da Nord a Sud. La storia di Ilda Boccassini, ex magistrata 72enne oggi in pensione, sotto certi aspetti è la storia stessa della Seconda Repubblica italiana.
Storia che in realtà affonda le sue radici nel pieno della Prima Repubblica, e che Boccassini ha deciso di raccontare in un’autobiografia intitolata ‘[sponsor-link id=”82″]’ (edita da Feltrinelli), che spunto dal numero del suo ufficio nei lunghissimi corridoi al quarto piano del “palazzaccio” di Milano.
Ilda Boccassini, gli esordi a Milano
E proprio il capoluogo lombardo rappresenta un punto fermo nella carriera di ‘Ilda la Rossa’, fatto di eterni ritorni. Napoletana, classe 1949, Boccassini inizia a lavorare come magistrato proprio alla Procura di Milano, anche se gli esordi non sono semplici.
I giornali all’epoca descrivono infatti quello del pm come un lavoro non adatto alle donne. Ma Boccassini dimostra l’esatto contrario e inanella una serie di successi investigativi che fanno ricredere un Paese intero. Fra i primi, e più importanti, l’indagine “Duomo connection” del 1990, condotta insieme a Giovanni Falcone, che svela la presenza di Cosa nostra a Milano.
Il rapporto con Giovanni Falcone
Al rapporto col giudice palermitano dedica ampio spazio nel suo libro: “Me ne innamorai… Ero innamorata della sua anima, della sua passione, della sua battaglia, che capivo essere più importante di tutto il resto – scrive –. Non si trattò dei sentimenti classici, il mio sentimento era altro e più profondo”.
Il rapporto con Falcone s’interrompe, tragicamente, il 23 maggio 1992, il giorno della strage di Capaci. Mentre l’Italia intera osserva in televisione le immagini di un’autostrada squarciata dal tritolo e dell’arroganza mafiosa, Boccassini decide di raccogliere gli insegnamenti di Falcone e di portali avanti, per far sì che non diventino lettera morta.
La strage di Capaci e il ritorno a Milano
Così parte per la Sicilia, destinazione Caltanissetta prima e Palermo poi, e inizia a indagare – contro il parere di tutti – sulla morte del magistrato simbolo della lotta alla mafia. Gli obiettivi: trovare la verità e dare giustizia. Dopo la parentesi siciliana, nel ’94 Boccassini fa ritorno a Milano, sempre nella sua stanza numero 30.
L’allora procuratore, Francesco Saverio Borrelli, la assegna al pool di “Mani pulite” al posto del dimissionario Antonio Di Pietro. Negli anni successivi arriveranno poi le inchieste e i processi simbolo della Seconda Repubblica: dall’Imi-Sir al Lodo Mondadori, passando per le “Toghe sporche” e il caso Ruby.
Spesso si troverà ad avere a che fare con il quattro volte presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che la considera alla stregua di un’avversaria politica. E, di conseguenza, riceve molti attacchi politici. Ma ‘Ilda la Rossa’ incassa e guarda sempre avanti. Il 28 maggio 2009 il plenum del Csm la promuove alla carica di procuratore aggiunto.
Il colpo alla ‘ndrangheta lombarda
E, pochi mesi dopo, il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, le assegna il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia. Alla guida della Dda, Boccassini raggiungerà uno dei traguardi più importanti della sua carriera.
Nel luglio 2010, insieme agli aggiunti Alessandra Dolci (oggi a capo della Dda milanese) e Paolo Storari, coordina infatti l’inchiesta “Infinito”, che insieme alla parallela “Crimine” della Procura di Reggio Calabria, segna uno spartiacque nella storia delle cosche della ’ndrangheta in Lombardia.