“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza“. Lo diceva ne “Il trionfo di Bacco e Arianna” nientemeno che Lorenzo ‘de Medici (o Lorenzo il Magnifico, che dir si voglia). Era il 1490, e probabilmente il grande mecenate fiorentino non poteva immaginare quanto le sue parole sarebbero state attuali circa 530 anni dopo. E in concomitanza con la Giornata mondiale della gioventù, i radar tornano a puntare su una categoria costantemente citata ma spesso dimenticata. Con una domanda che è legittimo porsi: oggi, esattamente, chi sono i giovani? E quando smettono di essere tali?
La gioventù 50 anni fa e oggi
Uno studio scientifico in merito è arrivato già nel 2015: la lancetta della gioventù si è fatalmente spostata in avanti. Come ha spiegato l’Università Cattolica di Milano per ‘Focus’, lo scarto generazionale rispetto anche solo agli anni ’60/’70 è evidente. Se una cinquantina di anni fa si smetteva di essere bambini a 11 anni, oggi ciò avviene a 15. E se compiere 25 anni significava smettere di essere giovani, oggi non è più così.
Aspettative di vita spostatesi in avanti e soprattutto un mondo del lavoro sempre più difficile (e talvolta quasi inaccessibile) hanno infatti creato una categoria prima inesistente: quella dei “giovani adulti”. Gli anni del boom economico del dopoguerra vedevano l’età adulta partire a 25 anni ed estendersi fino ai 60 (poi si entrava nella vecchiaia). Oggi invece è considerata gioventù anche la fascia 25-35. È quella dei “giovani adulti”, appunto, la cui asticella si sta pericolosamente spostando verso i 40.
Uno scontro generazionale
D’altronde si parla già dal lontano 1993 di Generazione Y, che ha oggi lasciato spazio alla Generazione Z. La Y corrisponde ai fatidici Millenial, indicativamente estesa tra i nati nel 1982 (divenuti maggiorenni nel 2000) e i nati nel 1995. E quella “Y” ha tante spiegazioni. Una prettamente alfabetica: segue la Generazione X, composta dagli eredi degli altrettanto fatidici boomers (vi rientrano i nati dopo il 1965). Ma il fatto che corrisponda alla domanda inglese “Why” (“Perché?”) racconta molto di questa gioventù che sta sfiorendo, e che ha visto i propri dubbi e le proprie aspirazioni spesso tradite e maltrattate dalla società odierna.
Il tanto atteso rilancio delle giovani generazioni sembra ormai imminente, ma la gioventù odierna inevitabilmente non è più quella. Oggi imperano i ragazzi della Generazione Z, nativi digitali, da sempre abituati a un mondo in crisi economica e che non hanno fatto in tempo a conoscere e frequentare sprechi e sfarzi degli anni ’80 e ’90. I loro cugini maggiori, invece, hanno potuto vedere un mondo ancora figlio del boom economico. Erano piccoli, ma lo hanno visto. Quando era giunto il loro turno di assaggiarne una fetta, però, la torta era scomparsa. O, peggio ancora, in pochi volevano condividerla con loro.
Quella gioventù che teme per se stessa
E oggi la società è cambiata di nuovo. I temi della solidarietà, dell’attenzione all’ambiente, dell’ecosostenibilità sono rientrati prepotentemente nell’agenda. Divisivi come sempre, e possibilmente anche più che in passato. Ma sono lì. Come l’esigenza di ripartire dalla gioventù, come forse non avveniva dal secondo Dopoguerra. Peccato che ci sia una generazione che si era già sentita tarpare le ali dai grandi, e ora teme di essere schiacciata dai piccoli. I veri giovani, pronti a fare le scarpe a chi per la scienza giovane lo è ancora, ma per la società rischia di non esserlo già più.