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Si sta parlando molto di feti sepolti, dopo il caso del Cimitero Flaminio di Roma e delle piccole croci con tanto dei nomi delle madri. Madri che non avevano dato il loro consenso. Una situazione decisamente scabrosa, su cui a fare luce sono le associazioni che si occupano di questo delicatissimo tema.
Ecco cosa avviene dopo l’aborto. “L’associazione interviene in termini generali allo scadere delle 24 ore. Entro le 24 ore dall’espulsione del feto, i genitori possono richiedere i resti per darne degna sepoltura. Se questo non accade, noi possiamo intervenire affinché si porti al seppellimento. Il tutto, chiaramente accordandoci con gli ospedali“.
Cosa possono fare i genitori dopo l’aborto
L’associazione spiega che i genitori possono chiedere dei feti nel giorno successivo all’aborto. Un termine scaduto il quale è l’ospedale ad avere il diritto di agire come meglio ritiene: “Dopo le ventiquattro ore l’ospedale può decidere se trattare questi prodotti abortivi come rifiuti speciali ospedalieri o decidere di dare loro sepoltura. Dopo le 24 ore dall’espulsione, se non c’è stata nessuna richiesta, l’ospedale discrezionalmente può decidere se affidare i resti alle associazioni come la nostra o a una ditta di smaltimento rifiuti“.
Riguardo all’identificazione dei feti, arriva anche una risposta su chi tra le parti in causa è a conoscenza dei nomi dei pazienti: “Per quanto riguarda i nomi, almeno su Roma, ne sono a conoscenza solo le associazioni che vengono coinvolte, l’ospedale e i servizi cimiteriali comunali. Il quadro normativo prevede che dopo le 24 ore decada il diritto soggettivo del genitore di avere i resti del feto. A quel punto la questione passa all’ospedale. E l’ospedale può anche decidere di non smaltire il rifiuto, ma passare al seppellimento“.
Feti sepolti: non ci sono violazioni, ecco perché
A livello normativo, è il regolamento della polizia mortuaria che rende possibile quanto avvenuto al Cimitero Flaminio: “La legge prevede quindi che il genitore possa anche non essere avvertito, perché decade quel diritto soggettivo. Dal punto di vista giuridico in questo caso non ci sono violazioni normative, perché non c’è un obbligo di consenso informato. Esiste un regolamento nuovo di polizia mortuaria del 1990 che tra le altre cose ridefinisce nelle strutture cimiteriali un’area dove si portano anche i feti abortiti“.
Le associazioni affermano invece di non avere alcuna possibilità di accedere ai nomi da ricondurre ai feti: “Noi non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo avere i nominativi delle donne coinvolte. Quindi, quando andiamo al seppellimento, il Comune ci produce un protocollo. Se poi una donna un domani vorrà sapere se il suo feto è stato seppellito oppure no, può andare ai servizi cimiteriali. Lì può richiederlo grazie a convenzioni che noi stipuliamo. Questa informazione può essere richiesta dai genitori quando vogliono. Manca però una norma che informi la cittadinanza su tutto questo“.