Fase 2, protesta dei ristoratori a Milano: “Se riapriamo falliamo”

I titolari di ristoranti, bar e pub stanno manifestando davanti all’Arco della Pace a Milano. Simbolo della protesta le sedie dei loro locali che “rimarranno vuote visti i rischi che stiamo correndo” e cartelli emblematici “Io non apro” oppure “Se apriamo falliamo“: questa la situazione durante la Fase 2 del contrasto al Coronavirus.

Fase 2 e l’incontro in Comune: “Non è cambiato niente”

I titolari chiedono certezze sulle norme per poter riaprire in sicurezza e sul sostegno economico. Il rischio, durante la Fase 2, è quello di riaprire per poi restare senza clienti. “Siamo qui perché una settimana fa, come le persone sanno, siamo andati a consegnare le chiavi al sindaco e a chiedere ciò che ci occorre. Dopo una settimana dall’incontro in Comune non abbiamo ottenuto praticamente niente“, afferma Paolo.

E i problemi, aggiunge il ristoratore, in questa delicatissima Fase 2 si moltiplicano: “Sono arrivate anche le bollette di marzo, che bisognerà pagare perché già sono arrivati i solleciti via sms. Rischiamo che ci taglino la luce. Così non ce la facciamo, il nostro credo è quello di non aprire fino a che non saremo al 100% operativi. In questo momento aprire vuol dire avere un terzo dei tavoli, un terzo dei clienti se va bene, mentre le spese restano al 100%“.

L’urlo dei ristoratori: “Ascoltateci, nessuno lo fa”

In piena Fase 2 la situazione è la stessa per l’intera categoria, come altri manifestanti all’Arco della Pace ribadiscono. “Vogliamo essere ascoltati, finora non lo ha fatto nessuno. Purtroppo la mia attività fa solo il 10% da asporto, quindi morirei dopo un mese. Vorremmo che il pagamento delle tasse di quest’anno fosse congelato, per ricominciare appena possibile con l’80-100% della normale clientela“, sottolinea Savino.

Impossibile star chiusi e avere sulle spalle affitti e utenze. Nulla è sospeso, ma solo rimandato“, aggiunge Andrea. “Vogliamo essere accompagnati verso la fase 3, in questo momento ci hanno lasciati soli“, ribadisce Riccardo. “Non sappiamo come comportarci, i locali vivono sulla socialità. Se questa viene annullata si annulla il nostro lavoro“, chiosa Maurizio.

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