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“Ci sentiamo dei tappabuchi. Siamo stati chiamati a fare contact raising, ovviamente volontariamente e quindi non pagati“. Quella di Niccolò Spano, rappresentante degli studenti della Facoltà di Medicina all’Università di Torino, è una vera e propria denuncia nei confronti di un sistema sanitario che, a suo dire, penalizza fortemente chi si avvicina al mestiere dopo anni di studi. Il giovane rappresentante punta il dito contro la situazione generale, che ha portato l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ad attingere a piene mani nel bacino degli studenti per far fronte a una mancanza di personale che rende ancor più complessa l’emergenza coronavirus.
“I tagli alla Sanità pesano sulla crisi”
“Colmiamo delle lacune del sistema sanitario, perché ce lo fanno passare come tirocinio – dice Spano -. Bisogna chiedersi, però, come e perché si sia arrivati a chiedere a degli studenti del sesto anno di Medicina di fare questa attività. I motivi sono due: i tagli alla Sanità degli ultimi anni che con l’emergenza Covid sono semplicemente emersi e l’imbuto formativo nel post-laurea”.
“Succede quindi questo in situazioni del genere – spiega il rappresentante degli studenti –: lo Stato richiama medici in pensione o li chiama dall’estero, mentre per gli studenti nasce il fenomeno dei cosiddetti camici grigi: medici laureati ma non specializzati, che lavorano come precari“.
“Chiedono ai volontari perché non ci sono soldi per i professionisti”
Entrando nel dettaglio, Spano chiarisce poi l’attività che gli studenti saranno chiamati a svolgere nell’Unità di Crisi. “Andremo a fare anamnesi al paziente – spiega -. Capire ad esempio se devono fare il tampone o la quarantena. Il nostro tirocinio non è mai pagato, però sicuramente la stessa posizione che occupiamo è normalmente svolta da professionisti. Il problema è proprio quello: se chiedono a noi di andare volontari non ci sono soldi per pagare dei professionisti”.
“Dal mio punto di vista sarà comunque un’esperienza utile – conclude il rappresentante degli studenti di Medicina a Torino -. Anche se la faremo al telefono c’è da dire che la telemedicina è il futuro, avremo quindi a che fare con un approccio diverso. Il problema, quindi, non è tanto l’attività in sé quanto capire il perché si sia arrivati a questo”.