L’Italia torna a tremare per il Coronavirus e l’aumento dei contagi registrato nelle ultime settimane. Che, infatti, è tornato a sfiorare la soglia dei 1.500 casi. Numeri pericolosamente vicini a quelli che provocarono il lockdown su scala nazionale in un mese di marzo che nella mente della cittadinanza appare lontanissimo, ma così non è. Ecco perché Andrea Crisanti, professore di Padova e padre del modello Veneto, ha deciso di anticipare al ‘Corriere della Sera’ un suo piano. Un programma presentato al Governo per evitare una nuova escalation.
Coronavirus: i perché del ritorno
Il professore parte da una lettura delle possibili cause di un ritorno di fiamma del Coronavirus. “Questa ripresa della trasmissione virale che interessa tutto il territorio nazionale sembra sia alimentata da comportamenti di socializzazione diffusi prevalentemente tra i giovani (ma non solo) e da casi di importazione. Il virus si diffonde sfruttando il comportamento sociale dei singoli: più persone si incontrano e più aumenta la probabilità di infettarsi. È successo a chi ha frequentato assiduamente luoghi affollati e discoteche senza adottare precauzioni“, sottolinea.
Crisanti però mette sotto la lente d’ingrandimento un nuovo importante aspetto della seconda ondata del Coronavirus, almeno per come si è presentata finora. “Questa ripresa della trasmissione – aggiunge infatti – presenta tuttavia delle differenze rispetto a quanto abbiamo osservato durante i terribili mesi di febbraio, marzo e aprile (è sotto gli occhi di tutti): la maggior parte delle persone infette sono giovani in grande maggioranza asintomatici o con sintomatologia molto lieve. E, cosa confortante, il numero delle persone ricoverate nei reparti Covid e rianimazione aumenta di poche unità al giorno senza mettere sotto pressione il sistema sanitario“.
I numeri sottostimati in primavera
Come relazionarsi dunque al Coronavirus da settembre in poi? La risposta arriva dalle parole del professore. “La comunità scientifica, i media e tutti gli italiani si chiedono cosa stia succedendo. Autorevoli scienziati argomentano che il virus sia mutato, si sia indebolito e che dunque l’emergenza sia finita. Altri raccomandano prudenza e incoraggiano a non abbassare la guardia e giustificano invece lo stato di emergenza. I numeri dei pazienti ricoverati in rianimazione e le persone che purtroppo ancora muoiono di Covid-19 sono diventati vessilli di opposte fazioni scientifiche e politiche“.
E Crisanti passa quindi a un’analisi dei numeri. Con l’intento di “fornire una spiegazione equilibrata e coerente della situazione” legata al Coronavirus. “Ripartiamo dal numero dei casi accertati (1.492) nel giorno in cui l’Italia è entrata in lockdown e facciamo uno sforzo di memoria: i reagenti per i tamponi scarseggiavano, i test venivano eseguiti solo su persone ricoverate in ospedale che versavano in gravi condizioni e molti malati rimanevano a casa senza cure e diagnosi. Nessuna traccia allora degli asintomatici la cui presenza e contributo alla trasmissione era negata con vigore da tutte le autorità sanitarie. Tutti ora concordano che quei numeri erano una drammatica sottostima della realtà“.
Coronavirus: i numeri reali del contagio
“Prima di trarre conclusioni, basate sul confronto tra i numeri dei casi in questi giorni con quelli registrati durante i giorni più bui della pandemia, e affermare che il virus sia mutato o diventato «più buono» (anzi i dati che giungono dal resto del mondo suggeriscono che Covid-19 mantenga tutta la sua pericolosità) dobbiamo quindi cercare di ricostruire quanti erano effettivamente i casi in Italia durante le prime settimane della pandemia“, spiega il professore. Che aiutandosi con l’indagine sierologica dell’Istat parla di un milione e 482 mila casi di Coronavirus in Italia. “Cifra ben superiore al numero di casi accertati (265 mila)“, denuncia.
Crisanti traccia quindi un quadro ben più consolante rispetto a inverno e primavera. “Nella fase attuale, consapevoli del fatto che le persone infette possano essere asintomatiche o presentare una sintomatologia lieve, si eseguono test a persone che prima sarebbero state trascurate e quindi i dati sono molto più rappresentativi della reale trasmissione del virus. A questo punto i conti tornano. I casi di questi giorni sono circa dalle 15 alle 20 volte inferiori a quelli delle prime settimane” della pandemia da Coronavirus.
L’attuale vantaggio dell’Italia
Infine, una lettura su ciò che attualmente sta avvenendo in Italia e nei Paesi vicini. Oggi molto più bersagliati dal Coronavirus. “Il ritardo della trasmissione osservata nel nostro Paese rispetto alle nazioni limitrofe – osserva Crisanti – è invece con tutta probabilità da attribuire alla rimozione graduale delle misure di distanziamento adottate dall’Italia. Questo ci pone in una situazione di privilegio poiché ci consente di vedere in anticipo cosa potrebbe accadere da noi nelle prossime settimane. Se i casi dovessero aumentare al ritmo osservato potremmo raggiungere nel giro di poche settimane i numeri di Spagna e Francia“.
La minaccia, secondo Crisanti, è chiara: “La ripresa delle attività lavorative, l’inizio delle scuole, l’importante appuntamento elettorale, nonché l’inizio della stagione autunnale inevitabilmente creeranno interazioni tra persone che il virus utilizzerà per diffondersi. È fondamentale perciò tenere l’attuale equilibrio dei numeri il più basso possibile, perché se si raggiunge la soglia di rottura, con il numero dei casi che eccede la capacità di risposta del sistema sanitario, l’unica opzione disponibile rimane il lockdown che, vista la situazione economica, rimane una scelta estrema“.
La risposta al Coronavirus: il piano di Crisanti
Il modo di evitarlo, secondo Crisanti, è lavorare in maniera capillare sugli asintomatici, “che possono inconsapevolmente trasmettere l’infezione“: “L’identificazione degli asintomatici è proprio la sfida che abbiamo davanti per evitare che i casi aumentino vertiginosamente fino al punto di rottura“, afferma. Ricordando anche che il Coronavirus a Vo’ Euganeo “il 27 febbraio aveva già infettato il 5% della popolazione prima di creare casi clinici sintomatici“.
“L’identificazione sistematica degli asintomatici attraverso l’uso massiccio ma mirato di tamponi è stata la chiave del successo del Veneto. In questo momento le regioni tutte assieme possono al massimo raggiungere la capacità di effettuare circa 90 mila tamponi“. Cifra che il professore definisce insufficiente per contrastare il Coronavirus. Da qui il suo piano, sostenuto da alcuni esponenti del Governo e “che conduca a incrementare, fino a quadruplicare su scala nazionale, la capacità di fare tamponi superando le barriere e divisioni regionali“.