Sono stati condannati a un mese di carcere e 3mila euro di risarcimento i tre militari dell’Esercito per apprezzamenti sessuali e insulti dal tono minaccioso a una diciannovenne.
Così si è concluso uno dei primi processi celebrati in Italia per il catcalling, ossia molestie verbali rivolte per strada o in un luogo pubblico. Il processo è risalente al 21 marzo del 2021.
“All’inizio non ho dato peso, poi dopo che per tutto il giorno mi hanno importunato sono esplosa. Alla fine sono scoppiata anche a piangere” aveva raccontato la diciannovenne a margine di un’udienza del processo nel maggio 2022.
“Era in lacrime e, tra un singhiozzo e l’altro, mi ha detto di aver subito delle frasi pesanti e di sentirsi minacciata” ha affermato la mamma della giovane nel corso della testimonianza.
Un racconto fatto alla madre dopo essere stata già due volte oggetto di molestie nel corso del pomeriggio. La ragazza, allora 18enne, era uscita una terza volta per portare a passeggio il cane e, sentendo dal balcone di casa che la giovane stava ricevendo ancora dei commenti dai militari, impegnati nell’operazione Strade sicure – ma in quel frangente liberi dal servizio – erano scesi in strada prima il compagno e poi la madre della ragazza. A quel punto si è acceso il diverbio a cui si erano aggiunti il fratello e il padre poliziotto della vittima.
Le controparti nel processo di catcalling
Nell’attesa delle motivazioni, le quali saranno depositate entro 60 giorni, il got Luigi Fuda della settima sezione penale ha condiviso la ricostruzione del vice procuratore onorario Marisa Marchini che, in accordo con l’aggiunto Letizia Mannella, ha chiesto per ciascuno dei tre imputati la condanna a due mesi di carcere senza la concessione delle attenuanti generiche, in quanto “avrebbero dovuto tutelare la tranquillità pubblica e invece hanno creato turbamento in una ragazza supportandosi e spalleggiandosi a vicenda”.
L’avvocato di parte civile, Roberta Bianchi, ha spiegato che la giovane è ancora visibilmente turbata dal catcalling subito e quando ricorda la vicenda piomba in uno stato di ansia e di paura come quelli di allora.
“Era provata per la violenza delle parole – continua Bianchi – e la petulanza dei tre militari che avrebbero dovuto vigilare, invece che passare il loro pomeriggio a bivaccare e molestare”.
“I miei assistiti hanno semplicemente chiesto alla ragazza, e all’amica che era con lei, se volevano bere con loro, questo è successo” asserisce il legale difensore Salvo Lo Greco, negando le accuse.
“Inoltre – continua Lo Greco – nessuno dei testi presenti quel giorno ha confermato quello che ha raccontato la vittima. Sono militari con le loro carriere e il loro lavoro, due mesi di arresto sarebbe un disastro. Allora le chiedo di assolverli con la formula più ampia, in quanto il fatto contestato non può dirsi provato oltre ogni ragionevole dubbio”.
Infine, sempre l’avvocato Lo Greco, ha precisato che “la ragazza era interessata a coprire un’altra situazione”, facendo riferimento allo schiaffo che il padre avrebbe tirato a uno dei militari in quegli attimi concitati, vicenda per la quale il genitore è stato archiviato.