Il generale Mario Mori è accusato dei reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico
Il prefetto Mario Mori, ex generale dell’Arma e capo del Servizio segreto civile, ha annunciato di aver ricevuto un avviso di garanzia dalla procura di Firenze nel giorno del suo 85esimo compleanno: è indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e terrorismo internazionale per gli attentati di Firenze, Milano e Roma del 1993.
Mori ha definito le accuse “surreali e risibili”, ma ha espresso preoccupazione per la gogna morale a cui sarà sottoposto. Ha ricordato il processo a Palermo durato 11 anni, in cui era accusato di aver trattato con la mafia per cessare le stragi. Condannato in primo grado a 12 anni, è stato poi assolto in appello e Cassazione.
I magistrati sostengono che Mori, pur avendo l’obbligo giuridico, non impedì gli attentati del 1993, nonostante fosse stato avvisato in anticipo. Nel 1992, il maresciallo Roberto Tempesta lo informò dei piani di cosa nostra tramite Paolo Bellini, inclusi gli attentati alla torre di Pisa. Successivamente, il pentito Angelo Siino lo avvisò di attentati al Nord.
Il generale Mario Mori indagato per strage, ma in passato venne assolto diverse volte
“Dopo una violenta persecuzione giudiziaria – portata avanti con la complicità di certa informazione e durata ben 22 anni – che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillita’ quel poco che resta della mia vita”. Così Mario Mori, ex vice comandante del Ros e capo dei servizi segreti civili, in una nota nella quale informa di avere ricevuto dalla procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia per gli attentati del 1993.
“Ma devo constatare che, evidentemente, – prosegue Mori – certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche.
Per questo motivo, quei giudici della Cassazione sono stati duramente criticatati dal consesso dei lottatori antimafia nella totale indifferenza del Csm che, dinnanzi a questi violenti e volgari attacchi, tace a fronte di questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo”.
La sentenza di appello, nell’assolvermi, ha riconosciuto che – precisa – la mia condotta “ebbe come finalità precipua ed anzi esclusiva quella di scongiurare il rischio di nuove stragi” e che avevo “effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane”.
Per i giudici di Palermo, continua Mori, “fui mosso esclusivamente da fini solidaristici e di tutela di un interesse generale e fondamentale dello Stato. Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360° rispetto al precedente teorema. Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”.
Afferma Mori: “Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine, avendo constatato che il circo mediatico si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno d’anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancor maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri, a informare le Istituzioni e l’opinione pubblica”.
L’atto istruttorio è stato fissato oggi, giovedì 23 maggio, nonché 32esimo anniversario della strage di Capaci, ma probabilmente verrà rinviato perché il difensore di Mori ha comunicato alla procura di Firenze di non poter essere presente per concomitanti impegni professionali a Palermo.