Uno degli effetti più tangibili della pandemia di Covid-19 è la crisi dei semiconduttori. Ci sono anche altre cause (tra cui il sempre maggiore successo delle criptovalute), ma è innegabile che i rallentamenti della catena produttiva dovuti ai periodi di lockdown abbiano avuto un impatto non indifferente sul settore. L’impatto di questa carenza di componenti si può vedere nel mondo dell’automotive, dove la domanda è arrivata a superare l’offerta, in quello delle console, con PlayStation 5 e Xbox Series X pressoché introvabili a quasi un anno dall’arrivo sul mercato, e in quello degli smartphone, la cui produzione è calata negli ultimi mesi. Un altro settore molto colpito è quello dei computer, dove i prezzi delle GPU e delle schede grafiche è in continuo aumento.
Quanto durerà ancora la crisi dei semiconduttori?
Al momento la crisi dei semiconduttori sembra ancora lontana da una conclusione ed è difficile parlare di un futuro roseo. Secondo Takeshi Kamebuchi, dirigente del settore microchip di Toshiba, questo periodo nero potrebbe continuare almeno fino a settembre del 2022. Inoltre, alcuni clienti potrebbero essere riforniti solo nel 2023. Anche Ludovico Ciferri, il presidente di Advanet, ritiene che la crisi andrà avanti ancora a lungo. Per realizzare un nuovo impianto di microchip servono tra i 10 e i 20 miliardi di dollari, dunque è improbabile che ne verranno realizzati molti nel breve periodo. Come se non bastasse, una nuova legge sulla proprietà intellettuale ha spinto molti investitori statunitensi a non voler correre rischi “perché poi la probabilità che la soluzione venga piratata da altre società in giro per il mondo è abbastanza alta”.
Il futuro
Ciononostante, alcune aziende statunitensi si stanno dando da fare per provare a risollevarsi. È il caso, per esempio, di Intel, che ha stanziato decine di miliardi di dollari per gli impianti produttivi. Inoltre, il governo Biden ha organizzato una task force per cercare di porre fine alla crisi dei semiconduttori. Nei prossimi due o tre anni, dunque, gli Stati Uniti potrebbero tornare a occupare una posizione importante nella produzione di microchip. Fino ad allora molti Paesi continueranno a dipendere da Corea, Cina e Taiwan, che per anni hanno detenuto una sorta di monopolio del settore.