Usa e razzismo, parte dalla Nba la clamorosa protesta dello sport

Stavolta non è stato il coronavirus a fermare lo sport negli Stati Uniti. Nella notte tra mercoledì e giovedì è andata in scena una protesta senza precedenti nel mondo sportivo professionistico americano, con il boicottaggio delle tre partite di playoff Nba in programma per protestare contro l’ennesimo episodio di violenza della polizia nei confronti di un afroamericano, il ferimento alle spalle di Jacob Blake da parte della polizia.

Non è solo la Lega di pallacanestro più importante al mondo ad fare da cornice alla protesta: anche le colleghe della Wnba hanno boicottato le proprie partite in programma, mentre in Mlb (baseball) e Mls (calcio) alcune squadre sono scese in campo, altre no. La speranza di chi non ha voluto giocare è quella di dare un segnale forte a una politica che è ancora lontana dall’affrontare in modo efficace una vera e propria questione razziale che va ben al di là del ferimento di Blake di pochi giorni fa o dell’uccisione di George Floyd dello scorso 25 maggio.

La catena degli eventi in Nba

Inizia tutto pochi minuti prima delle 22 italiane di mercoledì: a Orlando, nella ‘bolla’ limitata a giocatori e staff per il protocollo anti-Covid, è in programma la sfida tra gli Orlando Magic e i Milwaukee Bucks. I primi sarebbero pronti a scendere sul parquet per giocare, i secondi no: i giocatori sono scossi da quanto accaduto a Kenosha (a 50 km da Milwakuee) e dagli episodi di violenza nelle due notti successive, dal pesante bilancio di due morti. Decidono quindi di dare un segnale e non uscire dagli spogliatoi.

Il mondo Nba si unisce nella protesta: anche il giocatore più rappresentativo della Nba, LeBron James dei Los Angeles Lakers, esterna in modo esplicito il proprio disappunto: “F******!!!! Pretendiamo un cambiamento. Siamo stanchi” scrive su Twitter.

La Nba cerca e trova subito un contatto con lo spogliatoio dei Bucks e, dopo circa un’ora, conferma che alla luce della decisione presa dalla franchigia del Wisconsin (la cui dirigenza è solidale con i giocatori), le tre partite in programma nella notte (oltre a Milwaukee-Orlando anche Houston-Oklahoma City e Los Angeles Lakers-Portland) sono rinviate a data da destinarsi.

La solidarietà delle altre Leghe Usa

Non è solo la Nba a fermarsi. La Wnba (la Lega di basket femminile, nata da una costola della Nba) comunica a stretto giro di posta il rinvio delle tre partite della notte (Washington-Atlanta, Los Angeles-Minnesota, Connecticut-Phoenix), mentre la Mls che, come la Nba, è impegnata nella ‘bolla’ anti-Covid di Orlando annuncia il rinvio di cinque delle sei partite di calcio in programma. Solo Orlando e Nashville scendono in campo, mentre altre dieci squadre (Inter Miami, Atlanta United, Dallas, Colorado, Real Salt Lake, San José, Portland, L.A. Galaxy e Seattle) decidono di incrociare le braccia.

Meno imponente, ma comunque significativa, la protesta in Mlb: su quindici gare di baseball in programma sono quattro le partite rinviate (Los Angeles Angeles-Houston, Cincinnati-Milwaukee, Seattle-San Diego e Los Angeles Dodgers San Francisco). Alcuni altri match, va dato atto, erano iniziati prima della clamorosa protesta dei Bucks in Nba.

Non tutti si fermano: il caso Nhl

Non tutto lo sport nordamericano decide però di fermarsi e in questo senso non mancano le polemiche. In Nhl, il più importante campionato al mondo di hockey su ghiaccio, non c’è stato alcun rinvio e le due partite in programma nella notte (un’altra era iniziata alle 21, prima della protesta in Nba) si sono regolarmente giocate.

Prima di Boston-Tampa Bay si è svolto un “momento di riflessione” generico sulla questione razzismo, ma per diversi giocatori non basta: Matt Dumba, difensore dei Minnesota Wild, ha definito la decisione di continuare a giocare “scoraggiante”, mentre Patrick Kane, veterano dei Chicago Blackhawks e volto tra i più noti nella Lega, ha rimproverato la Nhl per non aver mostrato solidarietà nello specifico caso di Blake.

E ora, cosa succede?

Le previsioni sulla ripresa delle Leghe americane sono diverse: c’è chi è convinto che, dopo aver dato un forte segnale, giocatrici e giocatori riprenderanno a calcare i campi di gioco e chi, dall’altra parte, pensa che la protesta possa durare anche a lungo, con il rischio addirittura di cancellare il resto di una stagione a dir poco maledetta. Al momento in cui scriviamo in America è notte inoltrata: l’impressione è che possa accadere ancora di tutto.

 

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