Gianni Mura era solito ribadire a ogni pié sospinto la sua preferenza per i Pirenei rispetto alle Alpi. Quell’atmosfera insieme popolare e plumbea, col tempo che sembrava essersi fermato lì tra radure, rocce e conifere sparse, lo affascinava come poco altro. Le tappe pirenaiche, quando lambiscono il noto giro della morte (Aubisque, Tourmalet, Aspin, Peyresourde), non tradiscono mai. Delle quattro vette storiche, nella tappa di ieri l’ultima era il trampolino di lancio per il tuffo verso l’arrivo di Loudenvielle. Se per lo spettacolo sportivo la tappa del Tour de France è stata sublime, sul fronte del pubblico abbiamo assistito a scene farsesche, in tempo di pandemia. Gente ammassata sui tornanti del Peyresourde, in parecchi casi ululante senza mascherina. Mentre i corridori, con la lingua penzolante, salivano alla spicciolata. Non ci pareva questa la filosofia con cui l’Aso (voto 1), la società che organizza la Grande Boucle, aveva garantito all’Unione Ciclistica Internazionale misure ferree. Come si dice: che Dio anche stavolta la mandi buona a tutti.
Dopo essersi rivelato al Giro 2019 vincendo ad Anterselva, Nans Peters (voto 10) ieri ha confezionato un altro capolavoro. Il transalpino, in fuga con un nutrito drappello già a 2 km dal via, sul Col de Balet se ne è andato con lo stampellone Ilnur Zakarin (voto 8 in salita, 2 in discesa), veterano delle fughe in quota da anni. Si sa, quando la strada va in picchiata, il prode Ilnur è tra i pro più imbarazzanti. Ieri pareva di veder scendere un bimbo col triciclo: un vero peccato, perché il russo della CCC da anni è sempre primo attore sulle salite che contano.
Col de Balet, dicevamo: la prima asperità “Hors Categorie” si è letteralmente “bevuta” un Pinot, proprio quel Pinot che del Tour de France è uno dei figli prediletti. Il capitano della Groupama-Fdj si è letteralmente piantato (voto 3): solo l’orgoglio e la scorta dei luogotenenti lo hanno condotto a Loudenvielle. Il Tour passerà davanti casa sua in Borgogna fra qualche giorno: forse proseguirà. Certo è che al francese si è spenta la luce, e ci si chiede se non fosse stato il caso di salire in ammiraglia, raccogliere i cocci per sette giorni, e preparare un gran Giro d’Italia.
Veniamo ai big: gatta ci cova. Pogacar (voto 9,5), lo sbarbatello zimbellato ieri dalla tappa di venerdì da eolo in primis, e dalla morsa Jumbo e Inis in seconda battuta, ieri l’ha spiegata a tutto il concistoro. Con la strada che si impenna, è quello che ora più di tutti fa la differenza: ci fosse stato un arrivo in salita, gli altri big ora masticherebbero amaro. Chi vorrà vincere il Tour, dovrà vedersela col virgulto, che si arrampica che è un amore. Capitolo Jumbo (voto 9): bene, anzi benissimo. Van Aert (voto mille) irrefrenabile anche da gregario. Ma Roglic (voto 7) quanto regge sulle salite vere? Oggi è stato intelligente. Sapeva che seguire Pogacar era da denuncia penale, tatticamente penale. Però lui e Dumoulin quanto la strada sale possono finalizzare il lavoro della squadra? Vedremo.
Ineos (voto 7): sia Bernal sia Carapaz tribolano (7 pure a loro), ma sono lì. Entrambi possono solo crescere. Richie Porte (voto 8): dopo il ventaglio di venerdì, ieri sulle rampe del Peyresourde ha palesato un colpo di pedale sorprendente. Non ci avremmo scommesso un cent. Vispo Quintana (voto 8), indecifrabile Landa (voto 6), che prima soffre, poi va garrulo. Se questi due signori in salita ritrovano lo smalto che conosciamo, Roglic e Bernal dovranno iniziare coi rosari. Bene Martin (voto 8), chiudiamo con Yates (voto 10): ogni giorno lo si dà per spacciato, intanto però si tiene la gialla addosso. Oggi altro su e giù tra i Pirenei, con l’ascesa inedita de l’Hourcere: probabile bagarre dall’inizio per una fuga.
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