Il ciclismo, specialmente nella corsa a tappe di maggior blasone del calendario mondiale, è fatto di lunghe fasi di studio: nessuno lo mette in dubbio. È un gioco di ruolo di tre settimane, fatto di occhiate e di piccole minuzie. È innegabile però che da tre giorni il Tour de France regali le emozioni di un rosario vespertino. Tra il Col de la Lusette e l’arrivo a Mont Aigoual ci aspettavamo un po’ di guaranà, invece ci è stato ripropinato il valium. Un dato è inequivocabile: ieri tutti (noi inclusi) si attendevano che, di riffa o di raffa, Adam Yates (voto 7: indisturbato) perdesse il simbolo del primato. Il britannico invece è rimasto tinto di giallo, grazie al dormiveglia reiterato del gruppo dei migliori. Peccato: il finale era stuzzicante.
Così, la frazione si è trasformata in una giornata per temerari. C’è stata l’inevitabile fuga, e ci è finita dentro gente di vaglia. L’ha spuntata quello col motore più rombante, quell’Alexsej Lutsenko (voto 9) che sul finale ha salutato i compagni d’avventura per andare a scrivere il suo nome nei libri di storia della Grande Boucle: dopo il suo team manager Vinokourov, è il secondo kazako a vincere una tappa al Tour de France. Secondo Jesus Herrada, terzo Van Avermaet (voto 8 a entrambi): di cuore il polmonare spagnolo, di testa l’olimpionico belga, a tratti persino maglia gialla virtuale.
A sorpresa, l’unico a tentare di mettere un po’ di pepe alla scialba pietanza è stato Fabio Aru (voto 8, di incitamento). Sul Col de la Lusette, asperità più dura, il trentenne sardo ha provato a prendere il largo dal gruppo dei migliori. Rimasto là davanti a bagnomaria a discreto ritmo, è stato ringhiottito dal plotone dopo aver raggiunto circa 45 secondi di vantaggio massimo È un segnale: l’Aru degli anni dell’Astana è lontano anni luce, però lo scatto di ieri lascia intendere che le sinapsi della voglia sono ancora attive. Parliamoci chiaro: parliamo di un ragazzo che nel 2015 arrivò secondo al Giro e vinse la Vuelta. Allora è stato un errore scomodare i Gimondi, i Pantani e anche i Nibali nel fare paragoni, così come è sbagliato oggi ritenerlo improvvisamente un ronzino pressoché inutile. Va in scadenza a fine 2020, e chiuderà il suo triennio da tregenda in maglia UAE. Cambierà aria (a cifre decisamente più basse), e proverà a vivere un 2021 vedendo l’effetto che fa metro dopo metro.
Tornando ai big del Tour de France: tutto rimandato ai Pirenei. Incomprensibile Bernal (voto 5,5), che ha tenuto i suoi a tirare come ossessi per poi sostanzialmente trotterellare. In controllo assoluto Roglic e gli altri Jumbo-Visma (voto 7). Fresco anche Pogacar (7 anche a lui): il capitano del team di Aru si è fermato per un problema meccanico a meno di 4 km dalla fine, ma è rientrato fischiettando. Landa e Quintana (6 quasi politico) aspettano le grandi salite.
Domani si va da Millau a Lavaur (168 km): se non ci saranno altri lassismi da parte del gruppo, sarà sprint. Noi speriamo di nuovo in Nizzolo e, chissà, che Viviani rinsavisca. Bennett, da due giorni in maglia verde dopo averla scippata a Sagan (voto 3 finora al suo Tour), cercherà la progressione. Lui e Ewan favoriti, ma le pedivelle leste allettate dal finale saranno tante di più.
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