Pep Guardiola taglia il traguardo dei 50 anni, ma la sua impronta nella storia del calcio l’ha già marcata da tempo. A differenza di altri due innovatori come Rinus Michels e Arrigo Sacchi, l’uomo che arriva da Santpedor ha alle spalle una gloriosa carriera da calciatore. Un visionario prima in campo e poi in panchina, cresciuto alla scuola di Johann Cruyff. Direttore d’orchestra del Barcellona versione Dream Team, Guardiola non è velocissimo con i piedi ma lo è con la testa. Merito di una visione di gioco che ne fa il centrocampista ideale per lo stile di gioco importato dal genio olandese e che gli permetterà, nella sua lunga militanza in blaugrana, di vincere tutto o quasi: sei successi nella Liga, una Coppa dei Campioni e una Coppa delle Coppe, per citare solo i titoli più importanti. Anche se gli mancherà la consacrazione in Nazionale, pur togliendosi la soddisfazione di uno storico oro olimpico nel 1992, proprio a Barcellona.
Il passaggio di Pep Guardiola dal campo alla panchina
Dopo una vita nella Ciudad Condal, ecco l’Italia. Più precisamente a Brescia, dove brilla la classe sopraffina di Roberto Baggio e dove viene guidato sotto la sapiente guida di Carletto Mazzone. Un allenatore al quale resterà legato tanto da invitarlo all’Olimpico per la finale di Champions League del 2009: la prima vinta da allenatore. Ed è proprio questo secondo capitolo della sua vita a rendere Guardiola un’icona del calcio degli anni 2000, tanto da meritarsi il recente premio di Allenatore del secolo ai Globe Soccer Awards. Appese le scarpette al chiodo dopo le ultime esperienze in Qatar e Messico, Pep decide di mettere in pratica gli insegnamenti di tutta la sua carriera. E quale miglior ambiente di Barcellona per cominciare? A 36 anni gli viene affidata la seconda squadra, ma basta una sola stagione per convincere i vertici del club a scommettere su di lui.
La rivoluzione propugnata da allenatore e i trionfi da Barcellona in poi
“Noi non abbiamo bisogno di un centravanti: il nostro centravanti è lo spazio”, è una delle sue frasi più celebri. Già: perché Guardiola, da allenatore, propone un calcio che va oltre Cruyff, fatto di pressing alto, possesso palla, passaggi a due tocchi, in cui non esita a lanciare i giovani della Masia e proporre il ‘falso nueve’. E così non esita a congedare campioni come Ronaldinho e Deco per portare avanti la sua idea di gioco, dove si esalta un giovane Leo Messi. Non solo arrivano i risultati, ma quel Barcellona diventerà una delle squadre più spettacolari e dominanti di sempre, inaugurando l’era del tiki-taka.
Il suo garbo farà sì che Guardiola possa poi andare a predicare le sue idee con altrettanto successo anche al Bayern Monaco e al Manchester City. Con l’unico neo rappresentata dalla Champions, vinta per due volte, ma sempre col Barça. Negli anni Pep e il guardiolismo si evolveranno verso un calcio più verticale ma sempre d’avanguardia, dove non conta solo vincere ma anche il come. Il catalano può rivendicare con orgoglio come quelle stimmate da predestinato non fossero un abbaglio, anzi. Il calcio sfoggiato dalle sue squadre continua a incantare come il primo giorno. E chissà che a Manchester la sua strada non torni a incrociare quella di Messi per scrivere altre pagine di storia. Per un allenatore di cui si continuerà ancora parlare in futuro.