Di riffa o di raffa, al primo riposo ci si è arrivati. Thomas e Yates, i due britannici strafavoriti della vigilia, non sono più in corsa. Il primo fatto fuori da una surreale borraccia rotolante, il secondo messo ko da un reale, anzi realissimo, tampone positivo al Covid-19. Come contenuti tecnici, va detto con schiettezza, ci siamo ritrovati un Giro livellato un tantino verso il basso. Allo stato attuale però è l’ultimo dei problemi. Il guaio principale, per la corsa rosa, è che resta appesa a un filo sottilissimo. Prima di tutto proprio per il virus: oggi si trema, di fronte all’esito generale dei tamponi fatti a tutto il plotone. Non solo: il virus, è noto, serpeggia con molta più insistenza in diverse regioni che il torpedone dovrà attraversare. Anche questo, come abbiamo già evidenziato, non è aspetto di poco conto.
C’è però un’altra grana, ai fini tecnico-strategici altrettanto rilevante: sulle Alpi nel week-end ha nevicato a tamburo battente. Le condizioni meteo già tra pochi giorni sono date in deciso miglioramento, ma sui valichi più alti la situazione è complessa. E lo sarà, con ogni probabilità, anche tra sette giorni, quando avrà inizio l’ultima e decisiva settimana di corsa. Ora: è vero che, con il clima impazzito dei giorni nostri, capirci qualcosa è difficile. L’inverno passato sui comprensori sciistici non è caduto un grammo di neve da gennaio in poi, e fino al lockdown si è sciato su neve artificialissima. Ora, invece, ci ritroviamo con località montane coperte già da un metro e passa di coltre bianca. Il Giro, Covid-19 permettendo, sulle Alpi ci arriverà. Ma sul passo dello Stelvio e sul Colle dell’Agnello, ad oggi è molto difficile che i corridori possano salire.
Il “Garibaldi” della kermesse rosa è noto a tutti: lo Stelvio è il passo più alto d’Italia, e il punto più estremo della storia del Giro. Pluri-cima Coppi nell’ultimo secolo, spesso ha visto i corridori salire tra la neve anche a fine maggio. L’Agnello idem: coi suoi 2748 metri, è un altro dei valichi alpini più alti in assoluto. La domanda a questo punto che ci si fa è la seguente: quando si è deciso di fissare il Giro a ottobre, non era ipotizzabile che su queste due vette avrebbero potuto esserci problemi? Bisognava consultare Nostradamus, per prevedere nevicate a quelle altitudini? Il discorso è semplice: come si è rivoluzionata la prima parte del percorso, con la mancata partenza dall’Ungheria, bisognava armarsi di coraggio e rivedere anche i tracciati alpini. Stelvio e Agnello li si potevano fissare già nel 2021, ma bisognava resettare le frazioni clou di quest’anno. L’Italia tra Appennini e Alpi è piena zeppa di salite dure anche sotto i duemila metri di quota. E anche sopra quota duemila, ne ha di decisamente più basse delle storiche due salite in questione. Se il Giro risulterà monco, gli organizzatori dovranno un attimo porsi qualche domanda.
Veniamo alla corsa: col clima infame di ieri, l’arrivo nel cuore del parco nazionale d’Abruzzo non ci ha regalato lo spettacolo atteso. Onore a Ruben Guerreiro (voto 10), che ha saputo entrare nella fuga giusta e reggere da grimpeur di mestiere nel finale per vincere. Il Portogallo sta studiando da Slovenia: è un altro paese con poca tradizione, ma che in questo Giro d’Italia sta mostrando fiori di corridori. A cominciare da Joao Almeida (voto 7, come i giorni in rosa), che quando la strada si fa più pendente fatica, ma che resta in vetta alla graduatoria. I tanti chilometri a cronometro che restano da percorrere sono pane per i suoi denti: chi vuole staccarlo, non potrà aspettare di fiaccarlo sulle Alpi, ammesso che le si affrontino nei modi previsti. Nella tappa di ieri, applausi anche per Castroviejo, Bjerg, Hart e Visconti (voto 8 a tutti), bravissimi a dare nerbo a una tappa climaticamente complicatissima tra vento e pioggia.
Capitolo big: Vincenzo Nibali (voto 5,5) ha pagato nel finale dopo aver fatto lavorare la squadra. Nessun campanello d’allarme: salite come queste, facili fino al durissimo km finale, non le ha mai amate. Chi pedala con grande baldanza è Wilco Kelderman (voto 8): l’olandese è il segno del livellamento verso il basso di cui sopra. Il capitano della Sunweb in passato è sempre andato forte, ma mai fortissimo. È sempre stato uno da top ten: bravino in pianura, bravino in salita, nulla più. Ora pare rinvigorito, tatticamente attentissimo, e sa di avere l’occasione della vita. Al pari di Jakob Fulgsang (voto 8), che al netto delle scaramucce verbali con Nibali, ieri ha palesato una gran gamba. Sulla tattica, è noto, spesso pasticcia. A 35 anni però ha la maturità giusta per giocarsela. Stoico Domenico Pozzovivo (voto 8): il lucano meriterebbe un podio come premio alla carriera. Poi ci sono Bilbao e Majka (voto 7), pericolosissimi. In lieve affanno Kruijswijk (voto 5,5): non è quello del 2016 e si vede. Martedì il Giro d’Italia riparte con una tappa zeppa di muri: asfalto per temerari.
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