Un terremoto: il sostantivo, da applicare a una competizione sportiva, non è il massimo. Però descrive bene quanto accaduto ieri sui 20 chilometri finali per salire in cima al vulcano dell’Etna. Su una salita varia, lunga ma non durissima, sede di ore e ore di allenamenti invernali per mezzo gruppo, ieri si è già riscritto da capo a piedi copione e cast del film rosa. Se il buongiorno si vede dal mattino, i componenti del plotone non hanno affatto di che stare tranquilli: in questo primo scorcio siculo, il Giro d’Italia 2020 si è palesato come una gara a eliminazione. Con un’escalation di colpi di scena, d’accordo, ma col rischio che quando si arriverà al clou lo spettacolo possa rivelarsi piuttosto fiacco.
Fuori Lopez sabato, bye bye a Vlasov domenica, out Thomas ieri. Già, proprio quel Geraint Thomas dato dall’universo mondo come il favorito numero uno della vigilia per il successo finale. Una borraccia l’ha scaraventato a terra nel tratto per raggiungere la partenza: roba da Coppa Cobram di fantozziana memoria (il gallese merita un 3 in pagella). A certi livelli, gettare alle ortiche un grande giro per una cazzata simile, è un peccato mortale.
Di quelli che il Team Ineos ex Sky (3 anche a loro), in un decennio non ha mai commesso. Thomas evidentemente non ha buona sorte al Giro: già nel 2017, da superfavorito, finì per le terre. Quella volta fu colpa di una moto. Ora, tutto ammaccato, è a oltre 11 minuti dalla vetta. Game over. Peccato per Filippo Ganna (voto 9), indomito scudiero che lo ha preso a braccetto in quest’ascesa al calvario con la maglia rosa addosso.
Se Sparta piange, Atene non ride. L’altro grande battuto di giornata è sempre un rampollo della regina, quel Simon Yates (voto 3 pure a lui) che dopo aver fatto tirare i suoi per tutto il dì, si è afflosciato come una pianta senza sole (e di sole, sull’Etna, ieri non ce n’era). Arrivando con lo sguardo vitreo a oltre quattro minuti dal vincitore.
Al contrario di Thomas, lui un ruolo in questo Giro ancora può averlo: ha inventiva, e se ritrova la gamba può diventare la variabile impazzita. Certo che ieri, nell’uggioso pomeriggio sul vulcano ha “fatto brutto”, considerata anche la brillantezza mostrata alla Tirreno-Adriatico tre settimane fa.
Sul Giro sventola ancora la bandiera dell’Ecuador, paese che si è deciso a voler contrastare la Colombia come super-potenza dell’America Latina del ciclismo mondiale. Jonathan Caicedo (voto 10), classico “grimpeur mignon” di marca sudamericana, ha giocato prima al gatto col topo col veterano Giovanni Visconti (voto 7 così ripartito: 9 per la tenacia, 5 per la strategia). Poi si è involato verso un meritato successo: bravissimo, soprattutto nel far credere al compagno di fuga di essere al gancio.
Nonostante l’astuzia, però, nulla ha potuto contro l’inclemenza del cronometro: il parimerito in vetta con Joao Almeida (voto 7), ai fini del regolamento ha regalato la maglia rosa al lusitano. Già, Almeida: il ragazzo, giovane e umile, ha potenzialità sopraffine. Ieri non ha tenuto la ruota dei migliori, ma di certo dirà la sua fino alla fine.
E veniamo a Vincenzo Nibali (voto 8). Parliamoci chiaro: dopo la crono di sabato, lo davamo tutti già al massimo in lotta per il podio, con un Thomas di quelle proporzioni. Col gallese out e Yates sprofondato, allo Squalo ora la classifica sorride. Lui vola giustamente basso, e si sa che avrebbe comunque preferito duellare con tutti i big.
Ora però l’occasione si fa ghiotta: a parte il suo ex gregario Fulgsang (voto 8 ieri), il redivivo Majka (voto 7) e un inatteso brillantissimo Kelderman (voto 9), gli spauracchi sono finiti o quasi. L’assalto all’ultima grande corsa a tappe della carriera è ghiottisimo adesso. Menzione del giorno per Matteo Fabbro (voto 9): il 25enne udinese, se ci si lavora su, può diventare fior di scalatore. Una mano santa per il movimento nostrano.
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