Mammamia. È complicatissimo raccapezzarsi e scrivere qualcosa di minimamente sensato dopo il “ribaltone” di ieri. La Planche des Belles Filles ormai è una garanzia: quando il Tour de France si arrampica fin lassù, lo spettacolo è sempre garantito. Quello che si è visto ieri però va decisamente più in là: l’impresa di Tadej Pogacar (voto 22 , come gli anni che compirà tra poche ore), è di quelle che vanno dritte negli amarcord Rai di Beppe Conti, inserite in grassetto sugli almanacchi per la loro rara bellezza. Il successo di questo post-adolescente sloveno è la vittoria dell’inventiva, del talento e della “cazzimma” di chi non si accontenta. Ieri, sulle anguste rampe dei Vosgi, l’estro ha disintegrato il calcolo, padrone incontrastato delle 19 tappe che hanno preceduto il ticchettio del cronometro. Inoltre, l’astuzia solitaria ha sconfitto il dispotismo dei team, di cui tanto ci siamo lambiccati per giorni.
La Jumbo-Visma (voto 10) ha corso con la sicumera quasi tracotante della corrazzata, spadroneggiando in lungo e in largo per tre settimane. Il ciclismo, però, rimane uno sport individuale. Anche oggi, nell’epopea della tecnologia, della scienza, dei super-squadroni, dei fanta-meccanici e del perfezionismo forsennato. Ed è proprio lì che, riavvolgendo il nastro addietro, sta l’errore di Primoz Roglic (voto 5). E di noi tutti, perché nel guardare la corsa siamo caduti mani e piedi nell’inganno. Tanto che fino a ieri mattina non ci aspettavamo questo epilogo: per noi Roglic, grande cronoman, il Tour lo aveva vinto. Mancava solo la “magnum” di champagne da stappare.
L’ex saltatore con gli sci si era convinto, e noi con lui, che bastasse farsi guidare e proteggere dal suo sfavillante e dominante team per condurre la maglia gialla a Parigi senza patemi d’animo. Vinta la tappa di Orcieres-Merlette, si è tramutato in leader democratico (pure per fugare le accuse di tirannia della sua compagine). Lo sloveno ha preferito dominare collettivamente.
Tra Pirenei, Massiccio Centrale e Alpi, ha lasciato magnanimamente gloria un tanto al chilo al compagno Van Aert, a Yates, a Pogacar, a Martinez, a Lopez, a Carapaz sulle salite. Tanto, col suo impressionante treno giallonero, poteva anestetizzare la corsa a piacimento. Nei finali però, mai un affondo, mai un acuto, mai un’iniziativa personale affidata alla fantasia. Qualche secondo raggranellato lì, altri due là, altri ancora con i ventagli, e tanti saluti a tutti. Tanto (pensava lui, e tanti di noi con lui), per uno come Roglic gestire un minuto a crono è ordinaria amministrazione. Lì è cascato l’asino, e anche il castello di certezze della Jumbo.
Il vincitore della vuelta 2019 avrebbe potuto rimpinguare e non poco il vantaggio nelle tappe montane. Sul Col de la Loze, giornata più grigia al Tour del rivale Pogacar, avrebbe dovuto dare il colpo di grazia al giovane connazionale. Non lo ha fatto. Del resto (pensava) poverino Pogacar, corre praticamente senza squadra, per lui il secondo posto è già oro massiccio. Col piffero. Lo sbarbatello della UAE ha corso la crono di ieri proprio con la determinazione di chi sapeva di poter far saltare il banco. Una convinzione figlia di un entusiasmo contagioso, di una classe cristallina, di una sicurezza granitica nel saper reggere la pressione. Quella stessa pressione che invece ha schiacciato Roglic, un po’ sulla falsariga del Giro d’Italia di un anno fa.
La “remuntada” di Pogacar ci ha riportato in un amen alla cavalleresca crono finale del Tour de France 1989, quando Greg Lemond andò a strappare la maglia gialla a Laurent Fignon per soli 8 secondi, distacco minimo della storia della Grande Boucle. Un gesto tecnico-atletico che da ieri notte risplende già nella luminosa storia della corsa a tappe più importante del mondo.
Sul resto, applausi scroscianti a Damiano Caruso (voto 10, come la sua posizione in classifica), che ha scalzato Valverde con una grande crono, conquistando la agognata top te. Caruso è il classico corridore a cui il palmares non renderà mai merito a sufficienza: è un corridore di una solidità granitica, e per i mondiali ce lo auguriamo grandissimo protagonista. L’altro vincitore di giornata ieri è stato Richie Porte, che ha corso una grande tappa schiantando Miguel Angel Lopez (voto 1: ha fatto 36 km con le ridotte). Al suo primo podio in Francia, ha dichiarato che ora può seriamente iniziare a pensare al ritiro.
Oggi sarà passerella, e Pogacar vestirà la gialla, la bianca di miglior giovane e quella a pois di re dei grimpeur. La verde andrà a Sam Bennett. Di questo Tour de France rimarrà scolpito nella roccia il capolavoro di ieri però. Che ci ha ricordato, in sole tre ore, quanto ancora è in grado di dare questo meraviglioso sport.
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