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SPORT

“Showboat, la vita di Kobe Bryant” è un must: non solo per chi ama la pallacanestro

Avete mai provato ad appallottolare un foglio usato e a lanciarlo verso il bidoncino della spazzatura urlando: “Jordan!”, oppure “LeBron!”? Beh, chi vi scrive lo ha fatto per anni accompagnando il gesto del tiro cestistico (tecnicamente non perfetto, ma carico di cuore) con un “Kobe!”.

Il perché di questa mini-intro è presto spiegato: quando è stato proposto ai redattori di Newsby.it un potenziale regalo da inserire nel nostro calendario dell’avvento, “[sponsor-link id=”261″]” (edito da 66th and 2nd e disponibile su Amazon al prezzo di € 23,65) era esattamente la mia prima scelta. Un volume che è un must per tutti i fan del femoneno della palla a spicchi andato via troppo, troppo presto. Ma che, in ogni caso, è indispensabile per ogni singolo appassionato di sport.

“Showboat”, un capolavoro di ricerca storico-sportiva

Questa biografia del Mamba (questo uno dei soprannomi di Kobe più utilizzati a livello mediatico), benché mancante dell’ultimo, triste capitolo, tocca il cuore di ogni sportivo. Ed è capace di affascinare anche chi, allo sport, non si è mai minimamente interessato. Confermando come non sia un caso che, anche chi non ha mai visto un minuto di NBA, possa dire comunque di aver sentito parlare di Kobe Bryant.

Innanzitutto, quello che colpisce delle 750 pagine del volume redatto da Roland Lazenby e tradotto in italiano da Giulia Vianello è il rigore della ricerca storico-sportiva da parte dell’autore. Oltre 60 pagine, infatti, sono dedicate ai ringraziamenti e alla bibliografia.

E anche se Kobe non ha collaborato attivamente alla realizzazione del libro, lo hanno fatto, attraverso interviste con l’autore, personaggi che hanno fatto o stanno ancora facendo la storia di questo sport. Tra questi, solo per citarne alcuni, Magic Johnson, Gregg Popovich, Tim Duncan, Tony Parker, Brian Shaw, Jerry Colangelo, Mike D’Antoni, Penny Hardaway, Dwyane Wade, Derek Fisher, Steve Kerr e Dennis Rodman. Oltre, inevitabilmente, a Phil Jackson e Shaquille O’Neal: amici prima, rivali poi, e poi ancora fratelli senza esserlo di sangue. Fino a quel maledetto ultimo giorno.

Biografia, non “agiografia” di Kobe Bryant

Il libro non è una santificazione del personaggio-Bryant, benché ne metta naturalmente in risalto caratteristiche positive, prima fra tutte la cultura del lavoro attraverso il quale migliorarsi quotidianamente. Racconta invece, con enorme onestà intellettuale, la vita del Mamba in tutte le sue sfaccettature, dal contesto familiare agli anni da adolescente in Italia, dove giocava papà Jellybean. Passando poi per il ritorno a Philadelphia e la scelta di non fare il college per tentare l’assalto immediato alla NBA.

Il Kobe che ne viene fuori è quello che si sarebbe rivelato attraverso il suo modo di giocare: fenomenale, spettacolare, spaccone (in inglese, per l’appunto, “showboat”). Intriso di un’ambizione che spesso lo ha portato a interrompere rapporti anche importanti pur di raggiungere gli obiettivi prefissati.

L’immensa carriera in NBA e la rivalità con Shaquille O’Neal

Naturalmente il racconto delle sue gesta nella National Basketball Association copre la maggior parte delle pagine. E non potrebbe essere altrimenti per uno che, sempre con la canotta dei Los Angeles Lakers (prima con il numero 8, poi con il 24 – entrambi ritirati dalla franchigia lo scorso anno), ha vinto 5 titoli NBA, è stato una volta MVP (most valuable player, il premio assegnato al miglior giocatore in assoluto, ndr) della stagione regolare e due volte MVP delle finali, ha ricevuto 18 convocazioni per l’All-Star Game, di cui è stato 3 volte MVP e una volta co-MVP con l’amico-rivale Shaq.

E non mancano, parlando proprio di O’Neal, episodi e retroscena di una rivalità che, prima di smussarsi al tramonto della carriera di Diesel, era diventata velenosissima. Ma anche i dietro le quinte del rapporto sempre sul filo dell’equilibrio tra sereno e burrasca con Phil Jackson, il tecnico di quei Lakers che dominavano la scena cestistica a inizio millennio. Passando poi per quanto accaduto nel 2003: l’accusa di stupro in Colorado, la pressione dei media, una famiglia che rischiava di sbriciolarsi e una carriera che rischiava di collassare su se stessa.

La seconda parte di carriera di Kobe Bryant: praticamente senza haters

Dopo quei mesi da incubo, dal punto di vista personale, Kobe seppe ricostruire se stesso e la sua immagine. “Showboat” racconta come, da fenomeno individualista, Bryant seppe trasformarsi in capitano trascinatore, iniziando a sorridere di più ai cronisti, creando un’immagine di sé meno criptica e più entusiasta. Fu capace, inoltre, di separare meglio la sfera personale e quella cestistica. Per questo è difficile trovare un suo hater, a differenza di quanto accade per altre personalità sportive polarizzanti (LeBron James su tutti).

Il volume, che al suo interno ha anche una splendida selezione di fotografie relative alla vita e alla carriera di Kobe Bryant, si conclude con i fantastici 60 punti segnati ai Jazz il 13 aprile 2016, ultima partita della sua carriera, e il famoso discorso del “Mamba out”, ripreso nei modi persino da Barack Obama, che pochi mesi dopo avrebbe lasciato con un “Obama out” la Casa Bianca.

Il libro è uscito prima dell’ultimo, triste capitolo: del quale, però, non se ne sente la mancanza

“Mamba out” doveva essere l’ultimo capitolo della prima parte della storia di Kobe. Chissà, magari lo stesso Lazenby stava già lavorando a una seconda parte, che sarebbe iniziata con le sortite del Mamba a match NBA per salutare e “benedire” la nuova generazione di fenomeni, da Luka Doncic a Giannis Antetokounmpo.

Per poi proseguire con l’impegno che ci stava mettendo per togliere ragazze e ragazzi dalla strada grazie alla Mamba Foundation (ora Mamba & Mambacita Sports Foundation). Con le risorse che stava mettendo a disposizione per la crescita del movimento cestistico femminile, complice una famiglia che lo vedeva unico uomo tra la moglie Vanessa e le figlie Natalia Diamante, Gianna Maria-Onore (detta Gigi), Bianka Bella e Capri Kobe. Nomi non casuali, che trasudavano d’amore per l’Italia.

Proprio con Gigi, la figlia con cui andava spesso a vedere le partite e che stava accompagnando agli allenamenti, era su quell’elicottero che, nel pomeriggio del 26 gennaio 2020, andò a schiantarsi tra le colline di Calabasas, nella contea di Los Angeles. Spezzando la loro vita e quella di altre sette persone.

Quest’ultimo capitolo, nel libro di Lazenby, naturalmente non c’è (è uscito in America a fine 2016, in Italia un anno dopo). Nonostante ciò il volume risulta ugualmente completo, perché “Showboat, la vita di Kobe Bryant” basta così com’è a raccontarne la leggenda. Che continua ad ispirare non solo chi fa sport, ma anche chi, semplicemente, appallottola un foglio di carta e urla “Kobe!” provando a fare canestro nel bidoncino della spazzatura.

Francesco Lucivero

Giornalista pubblicista classe 1986, ho fatto esperienza in diverse redazioni locali pugliesi mettendomi alla prova con il cartaceo, la radio e il web e occupandomi di cronaca, attualità, spettacoli e sport. Dal 2018 mi sono trasferito a Milano per intraprendere con entusiasmo nuove avventure editoriali

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