“Nella motivazione non si legge nessun riferimento alla ricerca della verità“. Non usa troppi giri di parole il professor Sandro Donati, preparatore atletico di Alex Schwazer, che commenta in maniera a dir poco amara la sentenza del Tribunale federale svizzero secondo cui non ci sono gli estremi per annullare la squalifica di otto anni inflitta al marciatore altoatesino. Schwazer si era rivolto all’autorità elvetica nella speranza di poter riuscire a dimostrare la propria innocenza opo la squalifica inflittagli nel 2016 confermata dal Tas.
“La sentenza dice, in modo molto formale, che la perizia di Bolzano non andava esibita adesso, ma nel mese di agosto 2016, a Rio de Janeiro: è un paradosso, un disprezzo totale per la verità – accusa Donati -. La perizia è stata fatta tre anni più tardi, nel 2019, dopo che per più di un anno la magistratura italiana ha dovuto battagliare per avere le urine del famoso controllo (quello del primo gennaio 2016, ndr), con vergognose opposizioni di ogni genere. Solo quando questo campione è finalmente arrivato sono iniziate le analisi che hanno portato a una serie di stranezze. Non so quindi se questa motivazione sia sarcastica o semplicemente guardi con indifferenza la verità. Nell’agosto 2016 non avevamo a disposizione quelle urine. Noi, e mi sento di parlare al plurale perché condivido appieno la posizione di Alex, siamo le vittime“.
Per Donati le possibilità che Schwazer, campione europeo ai Giochi Olimpici 2008 e simbolo dell’atletica leggera prima della lunga odissea, torni a marciare a livello agonistico sono pressoché remote: “Alex è un grandissimo atleta, ma nessuno ha mai vinto la battaglia contro il tempo – dice con rammarico -. Nel 2024, poi, non potrebbe nemmeno disputare le Olimpiadi perché la squalifica finisce dopo i Giochi: l’hanno anche studiata in questo modo, gli otto anni di squalifica partono da agosto, non da gennaio”.
In conclusione, Donati lancia una stoccata contro i vertici dello sport mondiale: “Se tocchi l’istituzione sei morto – ammonisce severo -. Mennea mi fece riflettere sul perché il Cio e le altre istituzioni hanno sede in Svizzera: per la protezione complessiva che lì è garantita”.
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