Il volto sorridente, tenace e vincente di un’Italia capace di soffrire, guardare dentro gli occhi sbagli e avversità, superarli, rialzarsi e trionfare. Questo era Paolo Rossi, per tutti ‘Pablito’ in conseguenza del suo ruolo decisivo per il successo degli Azzurri ai Mondiali di calcio del 1982. Un campione, ma anche un eroe della normalità elevata al massimo delle proprie potenzialità. Che all’improvviso è morto, nella notte del 9 dicembre 2020. Aveva 64 anni e soffriva di un male incurabile.
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Il grande campione si è spento a Siena. La camera ardente è riservata solo ad amici e parenti, anche per le restrizioni Covid, ed è allestita nell’obitorio dell’Ospedale Le Scotte. Lì Paolo Rossi era ricoverato in seguito a un peggioramento della grave malattia che lo affliggeva da tempo.
La notizia è arrivata improvvisa, al termine di una serata di calcio dominata dalle coppe europee. Con tutti i discorsi post mercoledì di Champions che si sono improvvisamente interrotti nello sgomento, quando la moglie Federica Cappelletti lo ha salutato. In maniera straziante, ma semplice, schietta ed efficace. Proprio come era Paolo Rossi.
Un altro lutto importantissimo per il calcio mondiale, ed è complicato non pensare che l’Italia abbia perso il suo Maradona a pochi giorni di distanza dalla scomparsa di Diego. Paolo Rossi incrociò anche il proprio cammino con quello del ‘Diez’, in un curioso gioco degli incastri. Nato anagraficamente a Prato il 23 settembre 1956 e calcisticamente alla Juventus e poi al Como, rese grande il piccolo Lanerossi Vicenza con cui arrivò secondo in Serie A nel 1978 e si rivelò a livello planetario nei Mondiali di quell’anno. Quelli disputati in Argentina, vinti dall’Albiceleste e a cui Maradona non partecipò nonostante l’opinione pubblica lo reclamasse. Poi una vita calcistica sulle montagne russe, che lo resero il più umano degli eroi del pallone. E forse il più italiano di tutti.
Il Vicenza che lo riscatta dalla Juventus, ma retrocede in B. Il no al Napoli, l’inatteso passaggio al Perugia. Il ritorno alla Juventus da campione precocemente decaduto per le conseguenze dello scandalo Scommesse. E proprio una scommessa, quella del vecchio mentore Enzo Bearzot che impernia su di lui la Nazionale del 1982 che si siederà sul tetto del mondo. Prendendo a schiaffi anche Argentina e Brasile, Maradona (appunto) e Zico. E Diego è l’ultimo a vedere in campo un Paolo Rossi ancora tecnicamente e psicologicamente bloccato in quel mondiale delicatissimo e poi dolcissimo. Aperto con quattro partite singhiozzanti e chiuso con 6 reti nelle ultime tre. Con tanto di Coppa del Mondo e Pallone d’Oro a fine anno. Un’accoppiata mai più centrata da nessuno prima di Ronaldo. Il Fenomeno.
Era un’Italia molto criticata, quella che scese in campo nel 1982, osservata da un’Italia confusa e poco felice. Quella che negli occhi e nel cuore aveva le cupe immagini degli Anni di Piombo che ancora non sapeva di essersi sostanzialmente messa alle spalle. In Paolo Rossi, nella sua lotta contro un destino avverso e nella sua rinascita, quell’Italia si identificò. Ripartendo verso un decennio di maggiore respiro, indipendentemente dalle conseguenze che questo portarono.
Per Paolo Rossi la vita calcistica sarebbe proseguita con altri successi: il primo e unico scudetto da protagonista nel 1984, l’amarissima Coppa dei Campioni dell’Heysel nel 1985. Poi il declino, accelerato da cronici problemi alle ginocchia. Un anno al Milan e uno al Verona, gli ultimi squilli. Che mai affievolirono l’immagine di un uomo eccezionale nella sua normalità. E in cui l’Italia identificò la sua rinascita dopo anni terribili, a ogni livello.
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