Mala tempora currunt in Nba, la blasonata lega professionistica di pallacanestro statunitense alle prese con alcuni scandali. Un fronte di cestisti – circa il 5% di tutto il campionato a stelle e strisce – si dichiara infatti apertamente contrario al vaccino anti Covid e, per questo, non è intenzionato a farlo.
Alla guida di questo gruppo no-vax c’è Kyrie Irving, stella 29enne dei Brooklyn Nets, che di fatto è diventato un simbolo per molti colleghi non vaccinati. Irving, che è anche il vicepresidente del sindacato dei giocatori, ha perfino preso le distanze da un amico storico come il campione dei Los Angeles Lakers LeBron James.
La sua “colpa”? L’aver annunciato di aver ricevuto le due dosi del siero. Eppure la vita per i cestisti no-vax potrebbe diventare molto dura. Il nuovo protocollo sanitario dell’Nba non prevede infatti l’obbligo vaccinale per gli atleti, ma regole molto ferree che potrebbero causare più di una difficoltà nella routine.
Chi non si vaccina, ad esempio, deve fare dei tamponi anti Covid quotidiani. Anche più volte al giorno, in base al programma di allenamento e alle varie riunioni tecniche. I no-vax non possono inoltre mangiare al chiuso con i compagni di squadra, mantenere le distanze e occupare spazi distaccati.
Ad esempio devono rimanere ad almeno due metri dai colleghi nelle sale per le terapie; stare distanti da loro anche negli spogliatoi; oppure viaggiare separatamente su treni e aerei durante le trasferte. Ma non finisce qui. Perché i problemi maggiori potrebbero arrivare sul fronte economico.
A New York, dove giocano i Nets, vige ad esempio l’obbligo vaccinale per tutte le attività sportive, comprese quelle a livello agonistico. Ciò significa che Irving rischierebbe di non giocare più della metà delle partite della stagione: oltre a quelle in casa, anche quelle negli altri Stati Usa dove vige la stessa regola.
Ma metà partite significa anche metà stipendio. Ciò significa che rischierebbe di perdere circa 17 dei 34 milioni di dollari del suo salario attuale. Per non parlare poi dei danni alla squadra sul piano sportivo e ai malumori degli sponsor. E quello che sta succedendo a Irving potrebbe ripetersi anche per il restante 5% di giocatori che rifiutano il vaccino.
Quello dei cestisti no-vax, però, non è l’unico scandalo che sta travolgendo l’Nba. È notizia di ieri, infatti, l’arresto di 18 ex star del basket americano accusate di aver frodato quasi quattro milioni di dollari al fondo sanitario della Association.
I nomi degli ex giocatori coinvolti spaziano da Tony Allen a Glen ‘Baby’ Davis, passando per Jamario Moon e Sebastian Telfair. E ancora: Milt Palacio, Shannon Brown, Melvin Ely, Darius Miles, Ruben Patterson, Tony Wroten e altri.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta, i 18 ex cestisti avrebbero realizzato una truffa ai danni del sistema di welfare tramite una serie di false fatture mediche per incassare i rimborsi. La mente dello schema sarebbe stata Terrence Williams, 34 anni, che ha chiuso la carriera in Nba nel 2013 dopo oltre 150 partite fra Houston Rockets e New Jersey Nets.
Sarebbe stato lui, infatti, a contattare gli ex colleghi proponendo lo schema fraudolento, fornendo in cambio modulistica e assistenza dietro un compenso di 230mila dollari. Gli altri avrebbero quindi accettato, iniziando a chiedere per sé e per i propri familiari i rimborsi per prestazioni in realtà mai ricevute.
In totale avrebbero prodotto – a partire dal 2017 – fatture per quattro milioni di dollari. E di questi ne avrebbero incassati almeno 2,5 milioni fino allo scorso anno. Quando cioè sono partite le indagini federali che hanno portato ai 18 arresti di ieri.
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