Un annuncio che era nell’aria, e che è finalmente giunto in un giorno che più simbolico di così non poteva essere. Michael Schumacher diventerà un documentario: la sua storia sarà raccontata da Netflix, che ha diffuso il primo trailer dell’opera biografica sul Kaiser. Sarà disponibile dal 15 settembre, ma è il 25 agosto il giorno in cui abbiamo potuto vederne le prime immagini. Esattamente a trent’anni di distanza da una domenica in cui il mondo stava per iniziare a parlare di lui. Ma chi mastica un po’ di Formula 1 già aveva capito che, forse, la storia stava già per cambiare davanti ai loro occhi.
Quel 25 agosto 1991, che proprio oggi compie 30 anni, la griglia di partenza del Gran Premio del Belgio presentava una stuzzicante anomalia. Nella casella di partenza numero 7, infatti, si trovava una Jordan, monoposto in grande ascesa in quel campionato. Ma a pilotarla c’era un ragazzo di ventidue anni di cui davvero pochi avevano sentito parlare fino a due giorni prima. Michael Schumacher, appunto.
Un illustre sconosciuto, catapultato in un mondo infinitamente più grande di lui e chiamato a rispondere nel luogo più difficile che la Formula 1 offra. Il circuito di Spa-Francorchamps, quasi sette km di saliscendi, curve velocissime, rettilinei mozzafiato e frenate improvvise tra i boschi delle Ardenne. L’università del Circus, la chiamano, e una matricola aveva dato la paga a tanti. Questo Michael Schumacher, chiamato a rotta di collo per sostituire il più esperto Gachot, era stato battuto solo dalle due McLaren, le due Ferrari, una Williams e un tre volte campione del mondo (Piquet). Settimo, con il tenace compagno di squadra De Cesaris undicesimo.
La sua Jordan, quella domenica, lo avrebbe piantato in asso dopo pochi metri per un guasto tecnico. Ma la sua parabola di era appena iniziata. Già il successivo Gran Premio lo disputò con l’ambiziosa Benetton, guidata da quel Flavio Briatore che proprio grazie al talentuoso tedesco si fece realmente un nome a livello internazionale. Michael Schumacher avrebbe vinto il suo primo Gran Premio un anno dopo, proprio a Spa. Poi, nel 1994 e 1995, i primi due campionati del mondo, unici della storia per la Benetton. Quindi la Ferrari, il quinquennio iridato 2000-2001-2002-2003-2004 e la leggenda.
Tutto cominciato il 25 agosto 1991, con una caratteristica che avrebbe contraddistinto la sua intera carriera. Si può nascere talento, ma si diventa campione solo se dietro c’è un lavoro certosino. Un’applicazione maniacale. E se si è disposti anche a qualche compromesso per raggiungere l’obiettivo. Michael Schumacher lo fece sin dal primo giorno, giurando di conoscere la pista del suo esordio, quella di Spa-Francorchamps, in ogni singolo centimetro di asfalto. Anche per questo fu assunto. Ma in realtà non ci aveva corso mai in vita sua: lo fece prima di salire in macchina, percorrendola in bicicletta. E iniziando a studiare.
Questo lo ha reso ciò che è diventato. Questo fa un sette volte campione del mondo di Formula 1. Quello che Netflix racconterà, dall’etica del lavoro all’insaziabile fame di prevalere. Che lo rendeva, nella sua imbattibilità, sorprendentemente fragile. Lo sa bene la moglie, che ha aiutato a raccontare il Michael Schumacher più vero e profondo. “Corinna è stato il nostro più grande sostegno. Lei per prima ha voluto un film autentico, che lo mostrasse per come è fatto, con i suoi alti e bassi, senza addolcire nulla. È stata straordinaria, è stata forte abbastanza per concederci di fare cosa volevamo. E noi abbiamo rispettato i limiti imposti“, ha spiegato la regista del documentario, Vanessa Nocker. E dal trailer, qualcosa già si intuisce.
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