Il cordoglio del mondo dello sport e non solo è tanto per la scomparsa di Maurizio Zamparini. Ben più di un semplice presidente e proprietario di club di calcio (lo era stato in Serie A per Venezia prima e Palermo poi), ma un vero appassionato di pallone nonché fine conoscitore della disciplina. Tanto da essere stato l’artefice dell’esplosione di innumerevoli stelline e anche veri campioni.
Zamparini si è spento a Ravenna, all’Ospedale Cotignola dove era ricoverato da giorni per problemi al colon. Aveva 80 anni. Alla vigilia di Natale era stato costretto ad operarsi d’urgenza per una peritonite. Dopo l’operazione, avvenuta all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, era finito anche in terapia intensiva. Solo nello scorso mese di ottobre aveva perso Armando, il figlio di appena 23 anni.
L’Italia però se lo ricorderà come presidente di calcio, per i suoi modi certamente bruschi ma anche per la sua grande competenza. Che emerse già a fine anni ’80, quando da semplice sponsor (lui proprietario di una catena di supermercati) rilevò il Venezia che vivacchiava in C2. Undici anni dopo i lagunari erano già in Serie A. E quella squadra, allenata da Walter Novellino, mostrò al mondo le grandi abilità da presidente di Zamparini. Che in A si salvò, grazie soprattutto agli arrivi di Volpi, Maniero e Recoba.
Il vero capolavoro, però, avvenne a Palermo. Zamparini acquistò i rosanero nel 2002, quando erano una sorta di società satellite del presidente della Roma, Franco Sensi. Quella prima stagione, disputata in Serie B, vide i siciliani scendere in campo come una sorta di “Venezia in trasferta” (moltissimi giocatori provenivano dalla Laguna). Ma il meglio stava ancora per venire. E, incredibilmente, la promozione in A del 2004 fu solo l’inizio.
Già la squadra che vinse la cadetteria presentava infatti nomi di altissimo livello. Dal regista Corini all’ala Asta, dai talentuosi Zauli e Brienza agli eterni gemelli Filippini, dal futuro nazionale Simone Pepe al duo Fabio Grosso-Luca Toni. Che, due anni dopo, sarebbero stati addirittura campioni del mondo da protagonisti. Ma il Palermo di Zamparini, che entrò in Serie A tutt’altro che in punta di piedi, andò anche oltre.
Sia nel 2005, 2006 e 2007 che poi nel 2010 e 2011 la squadra rosanero fu in grado di qualificarsi per le coppe (la Coppa Uefa prima, Europa League poi). E se a inizio 2006-07 il Palermo di Guidolin fece urlare a qualcuno la parola “Scudetto” per quasi tutto il girone d’andata, il capolavoro di Zamparini resta il 2011. Fu quella squadra, allenata da Delio Rossi, a prendersi la finale di Coppa Italia (poi persa per 3-1 contro l’Inter). Ma soprattutto a presentare al mondo una vera nidiata di campioni.
Oltre all’eterno capitano Miccoli e alla sapiente regia di Liverani, quel Palermo aveva dato fiducia in porta a Salvatore Sirigu (preferito al brasiliano Rubinho). In difesa c’erano sulle fasce Darmian e Balzaretti e al centro Cesare Bovo, ben presto tutti e tre nazionali. Come Antonio Nocerino, tuttocampista che solo un anno dopo sarebbe divenuto il perfetto compagno di scorribande di Ibrahimovic al Milan. Ma il miracolo di Zamparini fu in avanti, dove contemporaneamente disponeva di Javier Pastore, l’emergente Abel Hernandez, l’eterno Budan, il talentuoso Pinilla e lo sconosciuto Josip Ilicic. Un lungagnone sloveno acquistato in fretta e furia dopo uno spareggio di coppa con il Maribor, insieme ai connazionali Andelkovic, Bacinovic e soprattutto Kurtic.
Questo era Maurizio Zamparini, anni dopo aver presentato al mondo Edinson Cavani e prima di ripetere l’operazione con Paulo Dybala. Un uomo dal carattere non facile e dall’esonero fin troppo frequente. Ma che di calcio capiva eccome. E che proprio per questo mancherà a tutti.
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