Era il 28 aprile 1990. Il Liverpool allenato da Kenny Dalglish batteva per 2-1 il Queens Park Rangers in quel di Anfield, un risultato che unito al 3-3 tra Aston Villa e Norwich City rendeva aritmetica la conquista del titolo di campione d’Inghilterra.
Quando il Liverpool dominava
Per i Reds era il diciottesimo della storia: un risultato pressoché inarrivabile per tutte le rivali, recenti o meno che fossero. Seconda nell’albo d’oro inglese di ogni tempo era infatti l’altra metà cittadina di Liverpool, l’Everton, a quota 9 campionati vinti. Gli stessi della londinese Arsenal. Il Manchester United, che stava vivendo i primi vagiti dell’epopea Alex Ferguson, era ancora fermo a 7. Gli stessi proprio dell’Aston Villa, ancora una big a cavallo degli anni ’80 e i ’90.
Lontanissime Manchester City (due campionati vinti) e Chelsea (addirittura uno soltanto), all’inseguimento nella classifica di ogni tempo addirittura di Sunderland (sei titoli), Newcastle e Sheffield Wednesday (quattro a testa), Wolverhampton e Huddersfield (tre).
Quel 28 aprile, dunque, la Kop si lasciava andare a festeggiamenti che in quel di Liverpool rappresentavano la norma. Nel solo precedente decennio, infatti, sei volte su dieci il campionato si era tinto del rosso del Merseyside. In vent’anni era successo ben undici volte. D’altronde, in un campionato inglese che faticosamente stava provando a rialzarsi dopo le tragedie dell’Heysel, di Bradford, di Hillsborough, era difficile trovare una vera big. Quel Liverpool lo era.
Dalla lunga attesa alla beffa?
Il fatto che fosse il 28 aprile, tuttavia, significa che quel titolo ha ormai più di trent’anni di vita. Trent’anni nel corso dei quali i motivi di gioia per il Liverpool non sono mancati (tre FA Cup, addirittura quattro Coppe di Lega, una Coppa Uefa, e soprattutto due Champions League). Ma con un neo che la Kop ha sempre malsopportato: i Reds non si sono mai più laureati campioni d’Inghilterra.
Sono stati nel frattempo addirittura superati dal Manchester United, hanno quindi assistito alle epopee dell’Arsenal di Wenger, dei diversi Chelsea vincenti di Roman Abramovich, del Manchester City. Mai sotto l’ottavo posto, quasi sempre nelle prime quattro a fine anno. Ma con una vittoria finale che sembrava divenuta un sortilegio.
Il 2019 si era concluso con il ritorno in cima all’Europa: la Champions League era tornata a fare visita alla Mersey. Ma per un misero punticino il titolo nazionale era andato una volta ancora al Manchester City. Nonostante le trenta vittorie e una sola sconfitta per i ragazzi di Klopp.
Tutt’altra storia in questa stagione, la trentesima appunto dopo quel trionfo datato 1990. Una cavalcata inarrestabile, con la grande festa rimandata solo dalla calcolatrice: +25 punti sul solito City. Poi il Coronavirus, l’interruzione del campionato. L’apprensione, poi il timore che dietro l’angolo ci sia l’ennesima beffa.
Quella di dover aspettare ancora, trent’anni dopo. Che la tanto attesa vittoria sia ufficializzata, senza poterla degnamente celebrare. O addirittura che il campionato venga annullato. Tramutando la tragedia, vera e universale, della pandemia nel dramma sportivo di una piazza che aspetta da trent’anni.