Kimi Raikkonen, addio F1: campione per gli almanacchi, Iceman per tutti

Un percorso che si accinge a concludersi, vent’anni dopo. Ma anche un cerchio che si chiude, a Monza, nello stesso luogo in cui si era aperto quindici anni fa pressoché esatti. Kimi Raikkonen ha preso una decisione, nell’aria da tempo, ma che ormai è definitiva. Questo 2021 rappresenterà la sua ultima stagione in Formula 1. E il suo ritiro inevitabilmente coincide con il definitivo addio a una generazione di piloti che non c’è più (resta Fernando Alonso, che però si può considerare il primo della generazione successiva).

Il Raikkonen enfant prodige

Kimi Raikkonen, enfant prodige dell’automobilismo mondiale, era entrato nel cuore degli appassionati italiani quando fu designato erede di Michael Schumacher. Un peso non da poco, tenuto conto della scia di successi e amore sportivo che il Kaiser portava dietro di sé. Ma in quella Monza di quindici anni fa (era il 2006) il testimone era consegnato. A raccoglierlo il finlandese dall’abusata fama di uomo di ghiaccio. Abusata quanto ingiustificata, dato che il suo essere Iceman nelle esternazioni malcela un carattere tutt’altro che freddo. La sua carriera parla per lui.

Arcinota la velocissima parabola che lo condusse ventunenne in Formula 1. Raikkonen ottenne infatti un test al Mugello dalla Sauber, forte di appena 23 gare da pilota professionista (di cui 13, oltre la metà, vinte). I suoi tempi sul giro furono stupefacenti, permettendogli di ottenere un posto in griglia per il 2001. Mai era successo che il Circus ospitasse un pilota così inesperto e, peraltro, mai passato per Formula 3 o Formula 3000.

La nascita del mito di Iceman

Ma il giovane finlandese non si fece divorare dalla grande responsabilità, anzi. Al termine del suo primo Gran Premio, a Melbourne, fu già sesto. A fine anno era già in McLaren, per sostituire il connazionale Mika Hakkinen ormai ritirato. Ossia il pilota che aveva permesso al team britannico di riprendersi i primi due titoli mondiali dai tempi di Ayrton Senna. E Raikkonen si tuffò nella nuova avventura a modo suo, dando vita al “mito” di Iceman.

A questi anni risalgono infatti i suoi primi siparietti, le dichiarazioni smozzicate, le fughe dalle telecamere e – ovviamente – gli atti di coraggio e testardaggine in pista. Come nel 2005, al Nürburgring, quando non rientrò a cambiare gomme talmente vecchie da far vibrare l’intera macchina in pieno rettilineo. Alla fine, addirittura, la sospensione anteriore destra si spezzò di netto. Ma era fuori dalla macchina che Raikkonen iniziò a cementare la sua fama. Come a Monaco, nel 2006, quando dopo un ritiro andò direttamente sul suo yacht a prendere il sole senza nemmeno transitare dai box. O in Brasile, quando disertò la cerimonia di fine GP. Salvo dichiarare in un’intervista, serafico: “Dovevo fare la cacca“.

Raikkonen, l’erede di Schumi: dalle stelle alle stalle

Resta epico il suo 2007, primo anno in Ferrari. Vinto il Gran Premio inaugurale, Raikkonen fu risucchiato in classifica dalle McLaren di Alonso e dell’esordiente Hamilton. Ma la sua freddezza gli permise di approfittare degli attriti tra i due, rosicchiare punti su punti e laurearsi campione a fine anno. Quello, ad oggi, resta l’ultimo titolo piloti vinto dal Cavallino. Poi però subentrò il lato oscuro del suo carattere, quello che lo porta ad avvilirsi quando le cose non vanno. Lo dimostra un 2008 opaco, in cui divenne progressivamente gregario di Felipe Massa, con però estemporanei sprazzi di magnificenza. Spesso relegato in posizioni di rincalzo, prese l’abitudine di correre senza verve salvo piazzare una lunga serie di Giri Veloci a fine Gran Premio. Sviluppando la fama di pilota pigro e ormai demotivato.

Non era così, dato che la sua timidezza (mascherata da freddezza) lo stava divorando. Così, dopo un 2009 tremendo per la Ferrari, piazzò una vittoria incredibile e inattesa a Spa e salutò la Formula 1. Kimi Raikkonen divenne così un pilota di rally. Solo a tempo, però, dato che nel 2012 il richiamo del Circus si fece irresistibile. E il ritorno in Lotus, nuovamente da caposquadra, lo ripresentò tirato a lucido. Competitivo, determinatissimo e, occasionalmente, spietato con gli ingegneri via radio. La sua vittoria ad Abu Dhabi fu accompagnata da una frase (“Lasciatemi in pace, so quello che sto facendo“) entrata nella storia. Forse la più iconica del nuovo millennio, finita in una montagna di meme e addirittura su tazze e t-shirt.

Il ritorno, la rabbia, il riscatto

Nel 2013 Raikkonen provò l’ebbrezza di ritrovarsi addirittura in testa al mondiale (vinse la gara inaugurale a Melbourne) e dopo uno strepitoso quinto posto nella classifica generale di fine stagione, tornò in Ferrari. Qui, gregario di lusso prima per Alonso e poi per Vettel, tornarono le vecchie critiche. Soprattutto a inizio 2015, una lunga serie di battute a vuoto ne misero a repentaglio il prosieguo della carriera. Il vecchio Iceman era ormai bollito? Nemmeno per sogno. Gli anni successivi gli artigli tornarono affilati, e l’opinione pubblica addirittura si ribaltò nel 2018. Quando qualcuno iniziò a pensare che tante vittorie di Vettel, in realtà, le meritasse Kimi.

L’ultima gioia arrivò a Austin, in Texas, proprio nel 2018. Quando Raikkonen già sapeva che la sua avventura in Ferrari era finita. Quel Gran Premio andò a lui, in una domenica in cui cedere la prima piazza a Vettel era proprio impossibile. “Sì, grazie. Finalmente c**zo“, fu il Team Radio a commento della sua ultimissima vittoria. Poi il ritorno in Sauber, ora chiamata Alfa Romeo, alcune prestazioni eccezionali (da sedicesimo a sesto nel primo giro di Portimao) e le tante esplosioni di rabbia con la squadra in certe occasioni approssimativa. Dal “For What?” al Gran Premio del Mugello al “Sì, ho capito qual è il piano. Ma dove sono quelle c**zo di termocoperte? Mettetele sulle gomme, non è così difficile” di Monza.

Cosa resterà di Kimi Raikkonen?

Questo è stato Kimi Raikkonen, uno dei piloti più autentici degli ultimi vent’anni. Tra i più stimati a inizio carriera, tra i più contestati a metà carriera, e per moltissimi il più amato ora che ci saluta. Un campione del mondo, che avrebbe potuto certamente ambire a qualcosa di più. Ma che proprio a causa di quel presunto ghiaccio che lo ricopre, spesso si è ingarbugliato su se stesso. E, alla fine dei conti, proprio questo gli ha permesso di diventare il primo e ultimo Iceman del Circus.

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