Il progetto Superlega, che per 48 ore ha illuso chi credeva in un calcio d’elite dal grande contenuto di spettacolo, si è sciolto come neve al sole. E’ durato come un gatto in tangenziale, si è letto sui social. Promotore dell’idea, con l’appoggio di Florentino Perez, il numero uno della Juventus, Andrea Agnelli. Che ha avuto il coraggio di portare avanti le sue idee fino alla fine, anche quando una ad una le ex compagne d’avventura hanno deciso di fare marcia indietro.
Anche quando altri, vedi Milan ed Inter, hanno deciso di alzare la testa da sotto la sabbia solamente quando il treno del ripensamento era stato avviato dal plotone delle squadre inglesi, in una Brexit da Superlega fortemente influenzata dalla voce grossa di Boris Johnson che ha “spaventato” le proprietà straniere dei club d’Oltremanica, i primi a cedere. Oltre agli l’aut-aut al grido del “chi aderisce è fuori da tutto” urlato da Uefa, Fifa e Federazioni.
“Bentornati nel calcio europeo”, ha detto Ceferin riferendosi al gesto del Manchester City, una delle 12 big europee che aveva prima sottoscritto il progetto, salvo poi fare marcia indietro. E proprio il numero uno della Uefa, nelle ultime 24 ore, dopo aver minacciato a destra e a sinistra i club “eretici”, aveva sguinzagliato gli ambasciatori del massimo organo calcistico europeo, per convincerli a ripensarci.
Tutti tranne uno: la Juventus di Agnelli. Con lui, come scrive la “Gazzetta dello Sport”, non deve trattare nessuno, ordine imperioso. Dopo aver dato pubblicamente del bugiardo e del serpente al presidente bianconero, il presidente dell’Uefa sembra covare vendetta e chissà se e davvero questa sensazione si tramuterà in un atto concreto.
Eppure, Andrea Agnelli, che ha dovuto abdicare obtorto collo, ha detto di essere sicuro della bontà del progetto della Superlega. Per ridare slancio alle casse di club che godono del tifo di milioni e milioni di appassionati, per sanare bilanci fortemente compromessi dalla pandemia. Per cercare di trovare uno stimolo ulteriore al piattume di certe gare, sia a livello nazionale che europeo, che generano lo share di una replica di una soap opera alle tre di notte. Un coraggio, portato fieramente avanti sino all’ultimo e nonostante una figura che, mediaticamente, lo fa uscire con le ossa rotte. Ma che vale molto più del pensiero di certi allenatori o calciatori strapagati, che ogni giorno guadagnano quello che chi è fortunato guadagna forse in un anno, appellatisi sui social al motto “il calcio è dei tifosi”, per giustificare la follia del progetto.
Ma se il calcio fosse davvero dei tifosi, le partite non dovrebbero essere trasmesse in chiaro? I biglietti allo stadio non dovrebbero avere un prezzo “popolare” e non variare in base all’avversario (vero “piccole”?) o le magliette ufficiali costare quanto una mutanda di Gucci? La fortuna di molti degli attori protagonisti di questo sport, è che sono privilegiati spinti da una passione smisurata, quella sì, dei tifosi. E finché questa sarà così fragorosa e non morirà, potranno girare in Ferrari sorridenti, twittando che “il calcio è dei tifosi”.
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