“Il Predestinato vince il Gran Premio d’Italia. Dopo nove anni la Ferrari torna sul gradino più alto, a casa nostra. Charles Leclerc vince a Monza. Un trionfo. Una gara maestosa“. Sono le parole che hanno accompagnato in tv l’arrivo sotto la bandiera a scacchi della Ferrari di Charles Leclerc un anno fa. Era l’8 settembre 2019 e così Carlo Vanzini salutava su ‘Sky Sport’ un successo casalingo che mancava dal 2010, epoca di Fernando Alonso. Ma da quel giorno quasi tutto è cambiato.
Ferrari: anni e anni di rincorsa
Proprio la Monza del 2019 rappresentò il picco più alto di una rincorsa molto complicata, quella che la Ferrari aveva provato a concretizzare sulla Mercedes. Il team anglo-tedesco, inutile girarci attorno, domina incontrastato da inizio 2014. Di fatto dal primo giorno in cui la Formula 1 è passata all’era ibrida, uno step evolutivo e anche filosofico da cui è impossibile tornare indietro. Con un vantaggio che sin da subito è apparso sterminato, in un settore in cui i tedeschi avevano già lavorato per anni (sfruttando altre categorie di corse automobilistiche), mentre a Maranello si partiva da un foglio bianco.
Da qui le tante difficoltà, della Ferrari e non solo, a contrastare un vantaggio della concorrenza che anziché essere limato anno dopo anno, è sembrato aumentare ancora rispetto a quel difficilissimo 2014 (un anno senza vittorie per la Rossa, quarta nel mondiale dietro anche a una Williams esplosa grazie al motore tedesco e reduce dal nono posto dell’anno prima). Ma con un Cavallino tornato via via Rampante fino all’ultimo scatto di reni del 2019. Quello di Monza.
Le “pieghe del regolamento”: non solo Ferrari
La Ferrari aveva sfruttato una piega del regolamento per presentarsi sulle piste più veloci dell’anno (Monza appunto, ma anche Spa) con il motore più potente del lotto. Una trovata né legale né illegale, e quindi inizialmente permessa a Maranello. Come tantissime volte è successo nella storia della Formula 1. Chi conosce o ricorda gli exploit più o meno improvvisi della Lotus di Andretti, la Williams di Mansell, la Benetton di Schumacher, la Renault di Alonso o la Brawn di Button lo sa. Così come è perfettamente consapevole del rischio che il giocattolo venga rotto sul più bello, privandolo dell’ingranaggio decisivo. O concedendolo anche agli altri.
Nel mirino della critica è finito Mattia Binotto. Motorista di professione, team principal per necessità in virtù della ricostruzione in atto da anni a Maranello. Un tecnico, non un politico, sbranato da una situazione che non dipende certo solo da lui. Ma in cui deve mettere la faccia. Nella consapevolezza che, in questo 2020, Monza è il posto peggiore in cui la Ferrari possa correre.
Binotto e l’accordo “nefasto” con la Fia
Il suo non essere politico ha fatto sì che Binotto abbia ammesso con fin troppo candore le difficoltà della Ferrari: “I regolamento sono complessi, forse serviranno ancora chiarimenti. Dall’anno scorso molte direttive della Fia hanno chiarito alcune aree, e abbiamo dovuto adattarci. Abbiamo però perso parte delle prestazioni che avevamo“, disse a luglio. Quando i disastri di Spa e quelli che si temono in vista di Monza erano già visibili all’orizzonte, ma ancora lontani.
Il “mistero” si cela in quell’accordo che la Ferrari trovò con la Fia in inverno. Una rinuncia alla propria interpretazione del regolamento, che aveva permesso di dominare nel 2019 a Spa e poi Monza. Fin troppo, dato che proprio in quel momento i team rivali sottolinearono alla federazione che qualcosa non andava.
Monza: da trionfo a causa dei problemi
In Ferrari lo ammisero, e optarono per un passo indietro. A progetto però già avviato, con una SF1000 che ruotava intorno a un “supermotore” non più utilizzabile. Poi ci si metteva anche il lockdown, con l’obbligo di fermare lo sviluppo delle power unit. Cioè il settore in cui a Maranello dovevano ripartire da zero o poco più. Ecco perché la potenza è scomparsa, le velocità di punta sono diventate le più basse in griglia e addirittura vetture con lo stesso motore (come l’Alfa Romeo) possono sverniciare questa Ferrari rosso opaco. E che ora procede mestamente verso una Monza da fanalino di coda. A meno di un anno di distanza dal “trionfo“, la “gara maestosa” che scatenò la festa popolare. Ma che fu il reale inizio dei problemi.