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La pandemia di coronavirus ha colpito trasversalmente il mondo dello sport, dalle società più ricche ai circoli più piccoli. Nemmeno il mondo degli scacchi è stato risparmiato e chiede a gran voce strumenti per ripartire. A confermarlo è Renato Mazzetta, presidente de La Scacchista, il circolo di scacchi più antico e grande di Torino, dove l’attività sportiva non è ancora ripresa dopo il lockdown: “A voler pensare bene è una questione economica, gli scacchi sono uno ‘sport povero’ e quindi non si è data troppa attenzione a fare in modo che l’attività potesse riprendere. È stata emanata una direttiva che lascia il tempo che trova”.
Il punto della direttiva che non convince Mazzetta è la distanza di sicurezza fra i due giocatori: “Il problema principale è la distanza tra giocatori, perché dovrebbero stare a due metri, che con una scacchiera di 80 centimetri crea problemi, e soprattutto per le partite a gioco rapido è poco attuabile. Una partita a scacchi con misure anti-Covid, oltre alla distanza, deve seguire le normative sanitarie: evitare di stringersi la mano, sanificare i pezzi e gli orologi, distanziare le persone nella sala. Sarebbe chiaramente obbligatoria la mascherina, ma fare una partita di tre o quattro ore con la mascherina può essere problematico”.
Nonostante l’inizio della Fase 3, quindi, l’attività fa fatica a ripartire: “Tutto è congelato dall’8 marzo – dice Mazzetta –. Ci mancano le serate dei tornei, i pomeriggi con i ragazzi, in generale la vita del circolo, come i soci che fanno un paio di partite veloci alla sera o assistono ai tornei: anche da questo punto di vista è stato pesante. Siamo riusciti a spostare l’attività didattica e i corsi dedicati ai ragazzi facendo lezioni da remoto. Abbiamo avuto delle perdite economiche perché non abbiamo potuto svolgere dei tornei né svolgere attività di corsistica nelle scuole”.
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