Domenica 11 luglio si terrà la finalissima dei Campionati Europei di calcio tra Italia e Inghilterra. Epilogo di una manifestazione itinerante che ha fatto molto emozionare. Eppure la competizione che sta per terminare con l’atto conclusivo dello stadio di Wembley (Londra) non può essere derubricata e limitata all’interno dell’esclusivo perimetro calcistico. Diverse sono state infatti le ripercussioni politico-sociali che sono state originate dalle 51 partite di Euro 2020. Frasi, gesti, polemiche, che spesso hanno spostato l’attenzione anche fuori dal terreno di gioco e che hanno toccato (financo) i massimi vertici delle istituzioni. Ecco i 10 episodi eclatanti di Euro 2020 che hanno fatto discutere anche fuori dai canonici circuiti sportivi.
Non c’è dubbio. L’inginocchiamento dei calciatori poco prima del fischio d’inizio delle partite, in segno di solidarietà per il Black Lives Matter (movimento internazionale nato all’interno della comunità afroamericana con l’obiettivo di contrastare il razzismo), ha scatenato diverse polemiche. In Italia la discussione è montata dopo la partita contro il Galles (terzo turno della fase a gironi). Prima del fischio d’inizio, infatti, tutti i calciatori del Galles si sono inginocchiati e lo stesso hanno fatto alcuni calciatori azzurri (Belotti, Bernardeschi, Emerson, Pessina e Toloi). Gli altri calciatori della Nazionale hanno deciso di non partecipare, rimanendo in piedi. Contro l’Austria, agli ottavi, niente; mentre contro il Belgio, ai quarti, tutti gli azzurri si sono inginocchiati. L’interrogativo se questo tipo di gesto possa essere effettivamente utile o meno per sensibilizzare le persone sul tema del razzismo rimarrà tuttavia irrisolto.
Altro tema politico-sociale di capitale rilevanza, oltre al razzismo, è stato quello dell’omofobia. Mentre in Italia si discuteva (e si discute ancora adesso vivacemente) del ddl Zan, a giugno si è tenuto, come da consuetudine, il Pride Month: il “mese dell’orgoglio”. Con iniziative e parate arcobaleno, in gran parte del mondo, a favore dei diritti civili degli omosessuali. Proprio nei giorni in cui si tenevano le manifestazioni in ambito internazionale, il comune Monaco di Baviera voleva illuminare con i colori dell’arcobaleno l’Allianz Arena in occasione della partita degli Europei di calcio tra Germania e Ungheria. Ma la Uefa lo ha vietato. Il motivo? A causa del coinvolgimento dell’Ungheria, in cui il governo Orbán e il Parlamento hanno adottato anche di recente misure discriminatorie nei confronti della comunità LGBT+: l’illuminazione sarebbe rientrata in un “contesto politico” in contrasto con la sua linea neutrale. Niente da fare, quindi.
Un altro caso diplomatico ha coinvolto la Russia. Sul colletto della maglia della Nazionale dell’Ucraina era presente uno slogan che faceva riferimento alla rivoluzione del 2014: “Onore ai nostri eroi”. Rivoluzione che culminò con la cacciata di Viktor Fedorovyc Janukovyc: l’allora primo ministro condannato poi per alto tradimento, reo di avere favorito la Russia in una campagna di aggressione contro l’Ucraina. La decisione della Uefa è stata la seguente: “Dopo un’analisi più approfondita, questo slogan è chiaramente di natura politica e deve quindi essere ritirato in vista delle partite ufficiali della Uefa”.
Dicevamo di Orbán. Ma, fortunatamente, in questo Europeo, l’Ungheria è stata anche ben altro. I calciatori nella Nazionale magiara, allenati dall’italiano Marco Rossi, sono tornati in patria da eroi. Nessuno si sarebbe aspettato un torneo del genere: troppo duro il girone con Francia, Germania e Portogallo. Eppure, nonostante queste apparentemente insormontabili difficoltà, la squadra ha stupito tutti: ha fermato i campioni del mondo della Francia sull’1-1 ed è stata per due volte in vantaggio contro la Germania, accarezzando fino a 5 minuti dalla fine l’idea di passare il turno e di mandare a casa proprio i tedeschi. E nel loro stadio. Quello di Marco Rossi con la sua Ungheria rimane un piccolo “capolavoro”. Perché è vero che la realtà dice ultimo posto, eliminazione e appena 2 punti in classifica. Ma si tratta sempre di due punti in più rispetto a quelli pronosticati, da tutti, a inizio Europeo.
La comunione politica d’intenti tra Italia e Germania è stata più che eloquente tra il 21 e il 22 giugno scorso. Angela Merkel, infatti, aveva condiviso le precedenti parole di Mario Draghi. Se possibile andando anche oltre. Obiettivo comune: non fare disputare le semifinali e le finali di Euro 2020 a Londra. “La Gran Bretagna è una zona a rischio variante del virus”, aveva detto la cancelliera tedesca. “Tutti quelli che arrivano da lì devono stare 14 giorni in quarantena e le eccezioni sono davvero pochissime. Io credo, anzi non credo, spero, che la Uefa agisca in modo responsabile. Non troverei positivo che ci fossero stadi pieni lì”. Ceferin ha fatto orecchie da mercante, confermando le Final Four a Wembley. E Boris Johnson ha rilanciato, aumentando fino al 75% la capienza dello stadio (quindi oltre 65mila spettatori). È stato un tentativo di “vendetta” per la Brexit da parte degli italo-tedeschi? Probabile.
No, il titolo di questo paragrafo non è inventato. È farina del sacco di Ivan Zazzaroni, direttore de Il Corriere dello Sport. Il contenuto del suo editoriale del 25 giugno si lega perfettamente a quello che si diceva poc’anzi, mettendo tutti in allarme sul segnale che la Uefa avrebbe voluto dare all’Italia dopo la “mossa” di Mario Draghi di chiedere lo spostamento delle semifinali e della finale di Euro 2020 in un “Paese dove i contagi sono più contenuti”. E, secondo Zazzaroni, la scelta dell’arbitro inglese Anthony Taylor per dirigere l’ottavo di finale tra Italia e Austria è frutto proprio di quella richiesta (bocciata) da parte della Federcalcio europea. Una serie di congetture che si è conclusa con la smentita stessa della teoria e la rivelazione del commento di Carlo Ancelotti fatta a Ivan Zazzaroni proprio sul britannico Taylor: “È bravo!”. Come a dire: stavamo solo scherzando. Risultato: arbitraggio pressoché impeccabile del direttore di gara durante tutto il match. Come volevasi dimostrare. Al massimo, sempre per dovere restare su questa logica, sarebbe stato (forse) più lungimirante intitolare, in lingua danese: “Opmærksomhed: fodbolddommeren er hollandsk”!
L’immagine di Cristiano Ronaldo che toglie una bottiglia di Coca Cola dalla scrivania da cui stava parlando durante la conferenza stampa non è piaciuta molto. Non solo (e per ovvi motivi) alla stessa azienda che produce la bibita analcolica (le azioni della multinazionale sono crollate il giorno dopo). La Uefa è stata chiarissima: le bottiglie degli sponsor devono essere sistemate sui tavoli delle interviste. Sono lì, messe a posta. Piazzate strategicamente nei pressi dei calciatori e degli allenatori perché il business funziona (anche) così. Lo stesso business che permette alle squadre di club di alimentare contratti importanti e onerosi. Il medesimo gesto di CR7 è stato poi compiuto anche da Paul Pogba: “protagonista” del caso, questa volta, è stata una bottiglia di birra (la Heineken, per essere precisi). Uno spostamento, quello da parte del francese, legato alla sua fede religiosa, l’Islam, che vieta l’assunzione di alcol. Insomma: davanti ai campioni le bevande non sono ammesse.
Durante l’esecuzione degli inni di Francia-Germania (all’Allianz Arena), un paracadutista di Greenpeace si è lanciato sul terreno di gioco e con una manovra azzardata ha leggermente ferito due persone. Si è impigliato in alcuni fili che reggevano la telecamera per le riprese dall’alto ed era precipitato in modo incontrollato e pericoloso da un’altezza notevole, provocando la caduta di diversi detriti. Anche l’allenatore francese, Didier Deschamps, è quasi stato colpito, ma in televisione non si era visto nulla. Su Twitter Greenpeace si è scusata e ha spiegato che la protesta era diretta contro lo sponsor del torneo Volkswagen per chiedere lo stop definitivo alla vendita di auto a benzina. Il pilota del velivolo avrebbe dovuto infatti sorvolare lo stadio e far cadere un pallone in lattice con il messaggio “Kick out Oil”. Anche in questo caso le battaglie personali o sociali sono entrate di diritto a far parte del palcoscenico di Euro 2020. E ancora per questioni di sponsor.
Per qualche ora, su alcuni profili di social italiani, alcuni ‘maestri dalla penna rossa’ ci spiegavano come fosse inappropriato esultare quando una squadra piccola sconfigge una grande. Dopo Svizzera-Francia è effettivamente successo tutto questo. Qualcuno ha adottato anche come motivazione il fatto che la Nazionale di Deschamps fosse un esempio di una squadra multietnica che dovrebbe essere esportato anche da noi. Ma è successo dell’altro. Perché mentre i tifosi francesi si disperavano per l’eliminazione, sulle tribune dello stadio si è scatenata una clamorosa lite. La madre di Adrien Rabiot si è avvicinata con fare polemico ai familiari di Pogba e Mbappé. Secondo la stampa francese, Veronique avrebbe suggerito ai genitori di quest’ultimo di redarguire il figlio e di renderlo meno arrogante. Ecco, diciamo che perlomeno in quest’ottica, il grande senso di solidarietà tra persone di origini identitarie e culturali diverse non si è esattamente notato.
Alle ore 18.45 di sabato 13 giugno si stava per consumare a Copenaghen una vera tragedia. Al 43’ del primo tempo di Danimarca-Finlandia, (gara valida per il gruppo B di Euro 2020), il cuore di Christian Eriksen ha smesso di battere per diversi minuti. Il centrocampista dell’Inter ha un malore in mezzo al campo, cade malissimo a terra di faccia e resta immobile privo di sensi. Il suo sguardo è perso nel vuoto; gli occhi sono sbarrati. L’intervento tempestivo del capitano danese, Simon Kjaer, e quello immediatamente successivo dei medici gli salvano la vita. E, diciamoci la verità, fuor di ipocrisia: hanno salvato anche l’intera festa di un Europeo che voleva rappresentare la ripartenza ufficiale dopo la pandemia. Tutti i compagni di squadra hanno fatto da scudo durante il massaggio cardiaco per impedire le riprese televisive e hanno provato ad infondere un po’ di coraggio alla moglie. Insomma: la Danimarca (poi semifinalista del torneo) è stata tutto quello che un gruppo deve essere. E non solo nello sport.
Altra annotazione politico-istituzionale. Qualche analista ha fatto notare come le otto Nazioni che si sono qualificate ai quarti di finale di Euro 2020 fossero equamente divise tra appartenenti alla Monarchia (Inghilterra, Spagna, Danimarca e Belgio) e alla Repubblica (Italia, Ucraina, Repubblica Ceca e Svizzera). Le quattro semifinaliste sarebbero state poi “avvantaggiate” dal fatto di avere giocato sempre in casa le partite del girone iniziale. Alla finalissima si sfideranno Buckingham Palace contro il Quirinale e qualcuno sottolinea (vieppiù esagerando) come un’eventuale vittoria degli azzurri determinerebbe anche un duro colpo per la Casa Reale, nonché (anche) una sorta di contrappasso per come sono stati recentemente trattati Harry e Meghan (poverini loro…) e 30 anni fa Lady Diana. Noi ci limiteremo esclusivamente ad assistere a una grande partita di calcio e per di più nella tana del nemico. Ricordandoci di Fabio Capello nel 1973. E anche di quella “simpatica” frase di BoJo del settembre 2020 e della successiva (gigantesca) risposta di Mattarella: “Anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore anche la serietà”. 6-0, 6-0, 6-0. Senza considerare che, dalla nostra, avremo anche il “tifo” di Ursula von der Leyen e di Charles Michel. L’importante è che questa volta il numero delle sedie sia esatto.
Per 30 giorni il jingle dell’inno ufficiale di Euro 2020 ha risuonato in tutte le case: prima, durante e dopo tutte le partite dell’Europeo. E, siamo onesti: ha anche stancato. Per carità: il brano “We are the people” (Martin Garrix feat. Bono e The Edge) non è neanche così malaccio. Il testo racconta infatti l’unione tra tutte le nazioni europee attorno al calcio, ma soprattutto attorno a questa manifestazione continentale che è stata seguita in tutto il mondo. Un passo avanti dopo tempi difficili vissuti, che Bono traduce in: “Siamo le persone che stavamo aspettando, fuori dalle rovine dell’odio e della guerra”. Certamente ha assunto un significato che andasse oltre a quello mero calcistico. Ora però: anche basta così! Da lunedì mattina queste dannatissime 12 note musicali (divise in quattro gruppetti da tre), che venivano emesse nel giro di 4 secondi di orologi netti, non vogliamo più ascoltarle. Appuntamento al “tormentone” di Qatar 2022.
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