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SPORT

Dino Zoff, i suoi primi 80 anni: “Quanta nostalgia nel mio addio al calcio”

Dino Zoff è un’autentica icona vivente. E non solo dello sport. Nato il 28 febbraio 1942 a Mariano del Friuli, in provincia di Pordenone, Zoff è diventato trasversalmente una vera e propria leggenda dello sport. Dai suoi esordi in Serie A con l’Udinese all’epopea con la maglia della Juventus, passando per le esperienze con Mantova e Napoli, è inevitabile ricordarlo per avere sollevato, da capitano, la Coppa del Mondo di Spagna 1982. Il 3-1 dell’Italia contro la Germania dell’Ovest, nella finale di Madrid, precedette quella storica partita a scopone con Causio, Bearzot e Sandro Pertini, che è entrata nell’immaginario collettivo di quel percorso trionfale. Oggi compie 80 anni.

“Pertini? Ho di lui un ricordo ancora vivo”

Dino Zoff, posso chiederle quanti se ne sente?

«Me li sento quasi tutti. Preferisco adeguarmi alla realtà. Non faccio come quelli che dicono che vivono come se ne avessero 20 anni. Comunque non mi lamento: sono ancora in piedi e sto abbastanza bene».

Che segreti ha una terra come quella del Friuli, che ha dato i natali a tanti importanti giocatori? È una semplice casualità oppure c’è un ‘clima’ particolare?

«No, no, è così. I miei erano altri tempi, dove si giocava di più liberamente nei prati. Nella mia generazione ci sono stati tantissimi ragazzi che poi sono andati in Serie A e in Nazionale. Poi, per i successivi 30 anni, ce ne sono stati molto meno».

Ed è proprio in questi campi che lei diventa portiere.

«Sì, ero nella normalità come altezza. Poi mi sono sviluppato dai 12 anni in poi e la mia statura diventò nella media dei portieri».

Se non fosse stato portiere che cosa avrebbe fatto nella vita?

«Non lo so. Il calcio è sempre venuto dopo nella mia vita. Bisogna avere attitudini e poi bisogna vedere come e dove si va a finire. Ai miei tempi non si partiva dicendo “farò questo, farò quello”. Eravamo più modesti. Si provava in un certo contesto e, dove uno dimostrava di avere un talento, magari si continuava. Altrimenti si pensava alla scuola o a un mestiere».

Che ricordi ha dell’esordio in Serie A e in Nazionale?

«Certamente quando fai un passo, salendo la scala, le responsabilità sono sempre maggiori. Quindi la voglia è maggiore. Tutto là».

È stato più emozionante il debutto o più nostalgico l’addio al calcio giocato?

«Naturalmente l’addio. Chiudi una parentesi straordinaria e sai che dopo non avrai altre possibilità di rifarti in quell’ambito. Magari in altri ruoli sì. Però lo sport è straordinario, è difficile da riempire quel vuoto».

Veniamo ai Mondiali ’82: qual è stato il segreto di quel trionfo?

«Se ne dovessi individuare uno, più che il “gruppo”, io preferirei utilizzare la parola “squadra”. È stata questa ad avere fatto la differenza. Ed è dipesa dal comandante, che deve sempre riuscire a trovare il meglio sotto tanti aspetti. Quindi il merito fu soprattutto di Bearzot».

Un clima diverso da quello dalla debacle del ’74, giusto?

«Diciamo che quello fu un momento generazionale diverso. Quando c’è un cambiamento del genere, qualche rischio c’è».

Lei festeggiò in maniera particolare quella nottata madrilena?

«No, ho preferito assaporare e godermi più in solitario quella vittoria che, come calciatore, sarebbe stata sicuramente l’ultima della mia carriera».

Eppure recentemente era uscita una fotografia di lei che ballava in discoteca negli anni ’70.

«Sì, perché si trattava di uno scudetto. Quindi non era una vittoria che avveniva così frequentemente».

Non vi siete più incontrati con Sandro Pertini dopo quella partita a scopone in aereo?

«No, però il ricordo di lui è ancora importante e vivo. Anche perché quell’episodio nacque spontaneamente, per merito suo naturalmente, senza che gli uffici stampa lavorassero affinché avvenisse. Quindi gli episodi che nascevano così io li ho apprezzati molto di più».

Lo sa che anche lei poteva diventare Presidente della Repubblica? Ha ricevuto un voto nelle ultime elezioni.

«Sì, ho saputo. Devo però ammettere che non mi ha fatto particolarmente piacere: è stato un voto ricevuto così. Non mi ha fatto né caldo né freddo».

Dino Zoff: “Mondiali? Sono positivo, tireremo fuori il meglio”

Torniamo al presente: ce la facciamo ad andare ai Mondiali quest’anno?

«Io sono ottimista. Avevamo tre possibilità: le prima due, più facili, le abbiamo sbagliate contro Svizzera e Irlanda del Nord. Adesso abbiamo quella più difficile. Però noi, nelle difficoltà, riusciamo a tirare fuori il meglio».

Anche perché saremmo campioni d’Europa in carica.

«Appunto. Forse tendiamo a piangerci addosso un po’ troppe volte».

Passando invece alla Serie A, è in corso il dibattito tra chi sia più forte Donnarumma o Maignan. Lei cosa ne pensa?

«Donnarumma ha fatto vedere già tanto, mentre l’attuale portiere del Milan è arrivato in Italia da poco. Non lo conoscevo molto bene: bisogna ancora vedere bene».

Infine, quale regalo desidererebbe ricevere per i suoi 80 anni?

«Eh… che durino abbastanza».

Lorenzo Grossi

Classe '89, appassionato sin da piccolo di sport e scrittura. Già da "pischello" scrivevo come collaboratore per alcune testate giornalistiche a cui ho man mano affiancato radio, agenzie di stampa, tv e quotidiani cartacei. Ora è il momento di newsby! Nel carnet anche una breve ma intensa carriera di direttore di gara di calcio a 11.

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